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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

DA TORINO AGLI EMIRATI

Luca Cordero di Montezemolo fa parte prima di tutto della cerchia degli Agnelli, in particolare nel senso dell’Avvocato (Gianni). Sempre (e ancora) animato da una capacità di mutare pelle e da una spavalda vitalità che piacevano non poco al suo mentore. Dunque, pronto anche adesso a trovare rapidamente un nuovo ruolo, per esempio in Alitalia.
Il milieu in cui si muove da oltre quarant’anni è composto da una miscela di rapporti internazionali e di gusto per l’immagine, di senso della diplomazia e di desiderio di contare con leggerezza che si rifà direttamente a una Italia del Novecento che ha avuto il suo perno intorno alla dimensione - insieme italiana e internazionale - della Fiat. Molto "vestivamo alla marinara", nel senso di una ricerca dello stile - anche nei rapporti personali e nel gioco del potere - che è diventata - nella buona e nella cattiva sorte - una cifra estetica prima che gestionale per una intera generazione di amici e collaboratori, che si è formata intorno alla famiglia Agnelli e si è ispirata ad essa in tutto, fino all’emulazione. Fra Torino e New York, Parigi e Roma, Capri e Villar Perosa.
Nella buona, ma anche nella cattiva sorte. Perché se gli anni Settanta sono contraddistinti dai successi con Enzo Ferrari - la squadra corse vince il campionato di Formula 1 dal 1975 al 1977 e Niki Lauda si aggiudica il mondiale piloti nel 1975 e nel 1977 -, gli anni Ottanta per Montezemolo hanno un profilo più in chiaro-scuro. Dal 1986 al 1990 lui è, infatti, direttore del comitato organizzatore dei mondiali di calcio di Italia ’90. Un evento che, anche in virtù dell’inadeguatezza strutturale di molti stadi, porterà a una lievitazione dei costi finali.
Nel 1991 Montezemolo torna in Ferrari. E qui, grazie alle sue doti di motivatore e alla sua capacità di scegliere manager operativi (in particolare Jean Todt), ricostruisce nella quotidianità un clima di fiducia e garantisce alla struttura agonistica la possibilità di lavorare sul medio periodo. Tanto che, nel 2000, la Ferrari torna a vincere - dopo ventun anni - il titolo mondiale con Michael Schumacher. Dal 2001 al 2004 si aggiudica sia il titolo piloti sia il titolo costruttori. Farà lo stesso nel 2007. Nel 2008 otterrà quello costruttori.
In realtà, l’anno cruciale è il 2004. Oltre a riscuotere il doppio successo in Formula 1, è nominato presidente di Confindustria. E, alla morte del Dottor Umberto, su suggerimento di Gianluigi Gabetti gli Agnelli lo scelgono il 29 maggio 2004 - in colloqui informali fra le esequie a Villar Perosa e la camera ardente al Centro Storico Fiat di Torino - come presidente del Lingotto, cancellando le velleità da capitalismo manageriale di Giuseppe Morchio, che abbandona il gruppo. In quel vuoto Montezemolo svolge un ruolo - soprattutto emotivo - non irrilevante. Montezemolo non ha un incarico operativo. Mette, però, al servizio di John Elkann e di Sergio Marchionne la sua capacità di dialogo con una famiglia Agnelli che è estesa e numerosa. Con molti di loro ha condiviso tempo libero e letture, amicizie e dolori. E nella dimensione dell’affettività Montezemolo ritrova sé e gli altri. Gli Agnelli non rappresentano soltanto una famiglia formale, ma costituiscono anche una idea insieme elegante e dura delle cose e un senso comunque frizzante dello spirito del mondo. Allo stesso tempo, Montezemolo continua a coltivare le sue storiche amicizie fra i rappresentanti del Quarto Capitalismo italiano, le medie imprese internazionalizzate che, dagli anni ’70, fanno evolvere virtuosamente il Made in Italy. Per esempio, Diego Della Valle.
In Ferrari, la sua operatività è più definita. Negli ultimi sei anni la squadra corse porta minori risultati di un tempo. Ma, oltre a bilanci buoni, Montezemolo si concentra sulla fabbrica di Maranello, che diventa uno dei benchmark tecnologici e organizzativi dell’automotive internazionale. Certo, non sono molti i transfer tecnologici verso il resto del gruppo. E anche la dimensione finale - nell’eterna difficoltà italiana di trasformare l’artigianato industriale de luxe in processi industriali artigianalizzati altrettanto de luxe, ma su altre scale - rimane quella del bonsai, per quanto di grande fascino e remuneratività.
In ogni caso, fuori da Maranello a Montezemolo resta quella vitalità ipercinetica che intrigava gli Agnelli, nel senso soprattutto dell’Avvocato. Ci sono le operazioni del fondo di private equity Charme. C’è il tentativo di rompere in Italia il monopolio dei treni con Ntv, di cui diventa presidente nel 2006. C’è, nella rimodulazione dello scenario istituzionale e del gioco del potere del nostro Paese, la passione per la politica, che resta la rosa che Luca mai colse.
Una delle sue cifre più persistenti è quella di elemento di raccordo fra il nostro sistema industriale e gli investitori esteri. Nel 2000, porta in Ferrari la Mubadala Development Company di Abu Dhabi. Il 14 novembre 2010 la Fiat si riprende quel 5% esercitando un diritto di call. Il 20 aprile di quell’anno, Montezemolo aveva ceduto la presidenza del Lingotto a John Elkann.
Nel 2012 il fondo arabo Aabar lo indica alla vicepresidenza di Unicredit. Ora, dovrebbero essere raccolti i risultati del lavoro - ancora una volta - di raccordo e diplomazia, dialogo e rappresentanza con Etihad, la compagnia degli Emirati Arabi Uniti. In prospettiva, l’ipotesi della presidenza di Alitalia.
Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 11/9/2014