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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

DA LAUDA AD ALONSO STORIA DELLA FERRARI TARGATA MONTEZEMOLO

Le prime foto di Luca di Montezemolo nel mondo della Formula 1 sono in bianco e nero. Era magro come un chiodo, portava i pantaloni a zampa di elefante, i capelli lunghi e ondulati come li ha sempre avuti. Enzo Ferrari cercava un giovane responsabile della Squadra Corse, uno in grado di invertire un trend negativo che durava da troppo tempo. Montezemolo, con l’amico Cristiano Rattazzi, nipote di Giovanni Agnelli, aveva corso nei rally su auto che ora si trovano nei musei: la Fiat 500 Giannini, la 124 S, la Lancia Fulvia 1600 HF. Era bravo, amichevole, ispirava simpatia, non stava mai fermo e non si tirava mai indietro.
Maranello nel 1973 era un santuario, governato da un gran sacerdote che incuteva timore. Enzo Ferrari viveva sempre nel suo ufficio, anche la domenica, quando guardava i Gran Premi in tv. Controllava tutto, sapeva ogni cosa per primo. Era difficile avvicinarlo e capirne l’umore dietro agli occhiali scuri e anche la voce dei giornalisti tremava un poco mentre gli facevano le domande. Montezemolo, come tutti, ne aveva un grande rispetto, ma questo non gli ha impedito di portare un po’ di aria fresca in quelle stanze rimaste chiuse per troppo tempo. Per vincere in Formula 1 bisogna essere bravi e avere fortuna. I cicli buoni vanno e vengono, spesso dipendono da una intuizione tecnica avuta prima degli altri, da un asso del volante che si è notato per tempo. Fu Clay Regazzoni, un pilota svizzero tanto veloce quanto simpatico, a consigliare a Montezemolo di ingaggiare Niki Lauda. Niki aveva solo 24 anni, e qualunque cosa accada oggi, non riuscirà mai a parlare male del suo amico Luca. Ancora si ricorda di quando nel 1975 vinse il mondiale piloti arrivando terzo a Monza, con Montezemolo che saltò dal muretto sulla pista urlando di gioia, mentre le vetture gli sfrecciavano accanto sul traguardo. L’aveva fatto anche a Montecarlo, e per liberarsi di Regazzoni che lo tratteneva per il giubbotto, gli aveva sferrato un manrovescio.
Questa esuberanza piaceva a Enzo Ferrari. Creava un buon spirito di squadra, la sensazione che il capo del tuo team ti sostiene e ti protegge. Molti hanno visto il film “Rush” di Ron Howard, e le cose in quegli anni sono andate proprio in quel modo. Dopo l’incidente del Nurburgring, Lauda ha perso un mondiale ritirandosi all’ultima gara per la pioggia e ha comunque trovato nell’amico Luca comprensione e consolazione, e la fiducia che serviva per vincere il mondiale nell’anno successivo. Montezemolo ha lasciato la Ferrari per nuovi incarichi in Fiat nel 1977, dopo avere vinto tre Mondiali costruttori e due mondiali piloti. Anche se il merito va in buona parte a Lauda e alla sua capacità di mettere a punto le macchine e di guidarle, c’era un’altra componente a spiegare il successo della Squadra Corse. Enzo Ferrari si era sempre definito un “agitatore di uomini” e Montezemolo in questo era il suo degno erede. Dimostrava passione, trascinava gli spiriti, coinvolgeva le persone sugli obiettivi, si dimostrava capace di scegliere gli uomini giusti. Nel 1991, quando è tornato a Maranello da presidente e amministratore delegato, Enzo Ferrari non c’era più, aveva affidato la sua creatura a Giovanni Agnelli, perché ne avesse cura e la facesse prosperare. La fabbrica aveva bisogno di investimenti, di progetti, di un nuovo clima nel quale lavorare. Molte delle trasformazioni avvenute non si sono viste all’esterno, ma sono state importanti. Montezemolo mostrava con orgoglio la nuova fabbrica con piante verdi all’interno, la galleria del vento (che allora prometteva più di quanto ha poi mantenuto), il Museo della Ferrari nel quale si respirava la leggenda dell’automobilismo, visitato da migliaia di persone ogni anno. E poi il reparto corse, rinnovato e riorganizzato, la pista di Fiorano sulla quale gli ospiti potevano fare qualche emozionante giro, i collaboratori gentili e premurosi, e quell’aria di efficienza e di simpatia che si percepiva e si percepisce dovunque.
All’inizio degli Anni 90 la Squadra Corse aveva bisogno di uomini nuovi, non si vinceva un titolo dal 1979, con il sudafricano Jody Scheckter. E Montezemolo ha scelto quelli giusti: nella storia della Formula 1 non c’è mai stato un “dream team” così straordinario come quello composto da Jean Todt alla direzione sportiva, Ross Brawn e Rory Byrne alla progettazione e Michael Schumacher al volante. Insieme, hanno portato a Maranello, dal 2000 al 2004, cinque titoli consecutivi nel mondiale piloti e nel mondiale costruttori, un record ancora imbattuto. Forse non si possono fare troppe cose bene nello stesso tempo e la nomina di Montezemolo alla presidenza della Fiat (dal 2004 al 2010), in un momento tragico per il gruppo dopo la scomparsa di Giovanni e di Umberto Agnelli, può avere influito – insieme agli altri numerosi incarichi - anche sulla gestione della Ferrari in Formula 1. Dopo Schumacher, tre anni a vuoto, la vittoria di Kimi Raikkonen nel mondiale piloti del 2007 e poi una serie incredibile di occasioni mancate e di mala sorte, come un vento contrario che si rifiuta di cambiare direzione, con Massa che perde il mondiale all’ultima gara in Brasile nel 2008. E nemmeno l’ingaggio del migliore pilota del mondo, Fernando Alonso, è servito: ad Abu Dhabi, nel 2010, stava per vincere il titolo, ma un errore di strategia dai box glielo ha impedito.
Montezemolo lascia la Ferrari dopo 23 anni con una serie di record nel fatturato e negli utili, con 118 Gran Premi vinti, sei mondiali piloti e otto mondiali costruttori conquistati. Non è poco. Ma il vento è cambiato, non vuole girare, e non resta che prenderne atto.
Vittorio Sabadin, La Stampa 11/9/2014