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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

PERISCOPIO

Magistrati in rivolta perché il governo taglia le loro ferie da 45 a 30 giorni. La vacanza non è uguale per tutti. MF.

Alfano: «L’Italia nel mirino dell’Isis». L’Isis: «Non serve, in Italia c’è già Alfano». Spinoza. Il Fatto.

Tutti pazzi per Renzi. Anche le spese. Jena. la Stampa.

Renzi che mangia il gelato. Renzi che si tira una secchiata d’acqua in testa. Renzi che brandisce una sciabola. Renzi che gioca a tennis. Renzi che va in bici. Renzi che inaugura cantieri immaginari, col caschetto giallo. Renzi con la faccia da budino (immagine raccapricciante, subito ritirata). Renzi che riceve Cottarelli dopo aver tagliato il tagliatore di sprechi al posto degli sprechi. Fra i tanti selfie con cui ammorba il paesaggio italiano si attendono quelli con Renzi a cavallo, Renzi al balcone e Renzi che trebbia il grano a torso nudo. Marco Travaglio. Il Fatto.

Floris non vuol accettare di fare il traino a Mentana su La 7. Eppure il suo compito, nella strategia palinsestuale, è proprio quello: in una corsa ciclistica c’è chi tira la volata al più veloce della squadra. E poi c’è da tenere presente l’intera sequenza della 7: Floris, Mentana, Gruber, il talk show di prima serata. Arriva Lilli che sei già esausto e, se poi appare Ale Moretti, il desiderio di cambiare canale diventa impellente. Aldo Grasso. Corsera.

L’Italia migliore e nascosta ha la faccia di Lucia, Olga e Bernardetta. Volti umani, non «fotogenici». Tre donne tra i settantacinque e i settantanove anni. Dunque da rottamare, secondo la retorica della nuova casta. Tre italiane che hanno scelto di andare tra i dannati della terra a vivere nella periferia di Bujumbura. Facendo mestieri che non sono glamour. Una insegnava, l’altra seguiva le ragazze perché imparassero taglio e cucito, la terza era ostetrica. Facce oneste (si può ancora usare la parola?) e che esprimono solidarietà e pulizia. Marco Politi. Il Fatto.

Lo stile di Milano lo sintetizzerei con tre D: discrezione, disciplina, dovere. In un mondo che tende alla cialtroneria, all’anarchia dei comportamenti e alla furberia, ben venga il calvinismo milanese! Giorgio Armani, stilista. Corsera.

Filippo Dinacci è stato, con Franco Coppi, avvocato di Silvio Berlusconi per il processo Ruby. Classe 1961, napoletano di origini, ha sempre vissuto a Roma. Qui ha frequentato il liceo classico De Sanctis, la madre era «una gendarme di caserma tedesca, anche se napoletana» e tutte le mattine lo tirava giù dal letto alle sei. «Devi fare i compiti», gli diceva. «Ma li ho già fatti», ribatteva lui. «Bene, rifalli», serafica lei. Dopo la laurea («con lode e dignità di stampa») in giurisprudenza alla Sapienza con Sebastiano Vassalli, Dinacci diventa ricercatore di procedura penale a Tor Vergata, la materia che oggi insegna all’università di Bergamo. Annalisa Chirico. Il Foglio.

Domenica scorsa un carrozzone di nomadi ha buttato giù una porta carraia ed è entrato nel circuito di Monza durante il GP d’Italia. Subito la gara è stata sospesa. Erano 15 camper, 20 roulotte e auto al seguito. Il presidente della Fia, Todt, è subito andato a colloquio con il capo dei rom. Capo rom: «Volevamo andare sulla BreBeMi, ma non ci sono cartelli che indicano tale cosa. Senza volerlo ci siamo trovati qui». Autorità: «Ma certo, può capitare!». Vedendo tale cortesia, il capo dei rom è andato subito al summit Ambrosetti a Cernobbio. È entrato nel salone e fa: «Quant’è il debito pubblico dell’Italia?». Funzionario Ocse: «2.300 miliardi». Capo rom: «Ok, li pago io». Senza dire né uno né due, ha staccato un assegno di 2.500 miliardi (200 sono di scorta). Maurizio Milani. Il Foglio.

Mi sento decadente da sempre, e molto decaduto da poco. Giuliano Ferrara. Il Foglio.

Ho visto un bel film cinese: Lanterne rosse. Proibito in Cina. La vita nell’harem delle concubine: una l’ammazzano, la serva muore, un’altra diventa pazza e il boss si prende la quinta signora, mi pare giusto. Luigi Serravalli, critico d’arte e scrittore.

La mia faccia non mi è nuova. Totò. il Messaggero.

Da Chez Maxim’s, a Parigi, un uomo arcigno e vestito di nero cenava ogni sera tutto solo. Rispondeva al nome di «Monsieur Albert», non prendeva in considerazione nessuno, era scontroso con tutti, non salutava nessuno mentre era il direttore della sala e non sollevava dalla sedia il suo pesante fisico se non all’apparizione di una testa coronata. Per aver servito con più educazione, dicevano, gli ufficiali tedeschi durante l’Occupazione, aveva passato qualche mese in prigione dopo la Liberazione. Il giorno in cui le porte della prigione si erano aperte davanti a lui, Louis Vodable, il proprietario di Chez Maxim’s, l’attendeva nella sua limousine nera. Appena il suo alter ego si installò sul sedile posteriore, Vodable gli aprì, senza più attendere, una piccola scatola di caviale di cui aveva motivo di supporre che l’amministrazione penitenziaria l’aveva crudelmente privato. Oggi la memoria di Monsieur Albert non è più evocata, sul menu di un ristorante disertato, che per una sogliola alla quale ha lasciato il suo nome. Philippe Bouvard, Je crois me souvenir... (Credo di ricordarmi). J’ai Lu, 2013.

Nel suo mandamento, diceva agli intimi il dottor Achille Vanghetta, pretore di Cuvio, un pretore è simile a un re. Chi più di lui? Polizia, carabinieri e finanza sono alle sue dipendenze, in quanto egli è a capo dell’autorità giudiziaria. I podestà gli sono sottomessi perché è il pretore che ispeziona e dirige lo Stato civile. Prevosti e parroci lo rispettano e lo ossequiano nella speranza di poter favorire parrocchiani e gente di chiesa che si venisse a trovare impicciata con la giustizia. Industriali, commercianti e professionisti, candidati naturali alle più varie imputazioni e spesso necessitati al contenzioso civile, lo corteggiano. Il popolo, sempre assetato di giustizia e in parte dedito al furto, agli atti inverecondi, all’ubriachezza manifesta e a tanti altri reati minori, lo venera e lo rispetta. Piero Chiara, Il pretore di Cuvio. Mondadori, 1973.

Caro Gesù, don Mario è un tuo amico oppure lo conosci solo per lavoro? I bambini parlano di Gesù. Sonzogno, 2006.

Ottavio, lo sai che ti ho sposato per interesse. Non rovinare il nostro matrimonio diventando povero. Bidust.

Era stanca come la seta delle bandiere. Giuseppe Marotta, L’oro di Napoli. Rizzoli, 1987.

Ho cercato il mio Ego nel pagliaio e non l’ho trovato. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 11/9/2014