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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

RENZI COMMISSARIA IL CSM

Le mani di Matteo Renzi sull’organo di autogoverno della magistratura, il Csm. Per la prima volta un membro del governo, il sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini, viene spostato dall’esecutivo per commissariare Palazzo dei Marescialli, in qualità di vicepresidente, alla vigilia della riforma della giustizia, ma soprattutto nel nome del riequilibrio delle correnti interne al Pd che Renzi vorrebbe inaugurare nella nuova segreteria del Nazareno. E così un bersaniano mai davvero convertito al “giglio magico” come l’avvocato abruzzese Legnini – prima senatore e componente della Giunta delle autorizzazioni di Palazzo Madama, ottimo mediatore sul caso Lusi e dopo sottosegretario all’Editoria del governo Letta, bravo a far di conto al punto da immaginarlo commissario straordinario di Roma (dalla poltrona dell’Economia ha controllato lui il piano di risanamento della capitale preteso dal governo) in caso di fallimento di Ignazio Marino – adesso è di nuovo catapultato sulla poltrona di un posto che scotta, come il Csm, direttamente da una poltrona di governo.
Un fatto straordinario nella storia dell’organo di autogoverno della magistratura, non si sa in che modo digerito dal Quirinale, di solito molto attento alla forma, in casi come questi, più che alla sostanza. Sta di fatto che, con Legnini, Renzi ha sparigliato le carte, perché spostandolo è venuto incontro principalmente alle sue esigenze, mettendosi avanti con un pezzo di rimpasto e rimuovendo se non un ostacolo, quantomeno non un “esecutore” dei suoi annunci senza seguito d’azione. Così, però, ha fatto saltare l’accordo – solo in apparenza solido fino a qualche ora prima – sulle nomine alla Consulta. Che, infatti, slitta a questa mattina. La coppia Violante-Catricalà è finita nel tritacarne, ma stavolta non è colpa – solo – delle frizioni interne al Pd. E non sarebbe colpa neppure del Cavaliere, che aveva dato il suo placet al “garantista” Violante. Quello che si è diviso sui due nomi è stato il ventre molle di Forza Italia, riottoso più del solito nell’accettare un nome calato dall’alto e proprio dal gran visir Gianni Letta. Così, ieri le truppe azzurre più ribelli si dicevano pronte a portare avanti la candidatura di Donato Bruno. O addirittura quella di Niccolò Ghedini. Ma si vedrà .Per il momento, si registra un Csm piegato al volere del premier. E basta dare un occhio agli altri nomi imposti da Palazzo Chigi (Renzi in persona, nella notte tra martedì e mercoledì ha messo insieme i pezzi della scacchiera) per capire quanto sia vero.
Dopo Legnini, sempre per il Csm ecco Giuseppe Fanfani, sindaco di Arezzo, margheritino della prima ora, amico personale di Maria Elena Boschi e, soprattutto, nipote di Amintore Fanfani. Di seguito, anche qui, una donna, l’avvocato e professore napoletano Teresa Bene, vicina al “giglio magico”. Tre nomi in tutto, blindatissimi, anche per favorire la chiusura dell’accordo con i centristi. In quota Ncd è rimasto granitico Antonio Leone, mentre Scelta Civica alla fine è riuscita a far eleggere l’ex ministro Renato Balduzzi. Per Forza Italia, l’avvocata berlusconiana Elisabetta Casellati e l’ex senatore Luigi Vitali, indagato nel processo “nuove farmacie” a Francavilla Fontana, ma con in tasca una richiesta d’archiviazione da parte del pm, dunque, spendibile. In quota Cinque Stelle, il professor Nicola Colajanni dell’Università di Bari, ex magistrato, unico dei nuovi eletti ad aver indossato la toga da giudice almeno per un po’.
Diversa, si diceva, la partita della Corte Costituzionale, che resta aperta, con possibilità che, a questo punto, anche il nome di Violante possa subire uno stop. Perché in fondo non convince tutti, men che meno alcuni renziani di stretta osservanza. Senatori Pd di area bersaniana, ieri alla Camera, facevano notare che per la Consulta Renzi avrebbe detto di voler vedere “almeno una donna” nel ticket. E chi, si suggeriva, meglio di Anna Finocchiaro. Che, sì, è stata importante, in qualità di presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, nella partita della riforma di Palazzo Madama, ma – anche lì – non è certo renziana; liberare la sua poltrona al Senato, con la legge elettorale che sarà messa in calendario di qui a pochi giorni, potrebbe favorire l’ascesa di un renziano alla guida della commissione strategica, forse proprio il capogruppo Pd, Luigi Zanda. E se proprio non si riuscirà a trovare la quadra, allora tanto varrà puntare su un nome esterno come quello di Augusto Barbera. Ma non c’è fretta, pare. Napolitano tesse la tela.
Sara Nicoli, il Fatto Quotidiano 11/9/2014