Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 11 Giovedì calendario

DAL PASSAGGIO A NORD OVEST RIEMERGE IL VASCELLO FANTASMA

Dal disgelo delle acque artiche disciolte dal riscaldamento della Terra emerge un vascello fantasma che per 160 anni era stato cercato invano: la nave dell’ammiraglio Lord John Franklin inghiottita nel 1846 dai ghiacci nella ricerca del Passaggio a Nord Ovest, per raggiungere dall’Atlantico il Pacifico. Un secolo di leggende, di racconti di cannibalismo fra i marinai dispersi nell’Artico, di incompetenza e di imperiale arroganza britannica, restituisce l’immagine nitidissima di una delle due navi comandate dall’Ammiraglio Franklin, adagiata sul fondale ad appena 15 metri di profondità, oggi in acque limpidissime.
L’hanno trovata i canadesi, dopo che infinite spedizioni erano partite senza trovare altro che qualche resto umano e le tombe di due marinai. Il ritrovamento di quella che potrebbe sembrare soltanto una reliquia della storia marinara e la soluzione di un’altra leggenda del mare ha invece un preciso intento strategico e politico. Quando il primo ministro canadese Harper ha personalmente annunciato il ritrovamento di una delle due navi, che erano la Terror e l’Erebus, i nomi di due vulcani nell’Antartide, ha voluto far capire che quel labirinto di stretti e di isole all’estremo Nord della nazione oggi divenuto navigabile fa parte delle acque territoriali del Canada, “Mare Nostrum”.
Il “Passaggio a Nord Ovest”, la ricerca di una rotta marittima, era stato, per cinque secoli, il “Sacro Graal” della esplorazione navale e dunque degli interessi strategici e commerciali di potenze e imperi. Controllarlo, se lo scioglimento progressivo dei ghiacci artici lo rendesse navigale tutto l’anno, equivarrebbe alla supremazia sullo Stretto dei Dardanelli, fra il Mar Nero e il Mediterraneo. Non erano dunque soltanto, o niente affatto, scientifiche le intenzioni che nel 1845 avevano armato le due navi della Marina di Sua Maestà, la Terror e l’Erebus, e le avevano affidate a un ammiraglio in pensione di 59 anni, John Franklin. Franklin era un veterano di guerre vere. Le sue unità avevano partecipato all’invasione britannica degli Stati Uniti ribelli nel 1812, bombardando il porto di New Orleans, e poi al cannoneggiamento di Baltimora divenuto la traccia sulla quale sarebbe stato scritto l’inno nazionale statunitense.
Le due unità, dopo anni di tragici fallimenti di altre spedizioni, erano stato attrezzate con il meglio della tecnologica navale del tempo. Le chiglie erano state rinforzate con lastre di metallo, le eliche erano retrattili e mosse da nuovissimi motori a vapore. Travi trasversali erano state installate per renderle più resistenti alla tenaglia dei ghiacci. Impianti per distillare l’acqua salata erano a bordo, insieme con migliaia di scatolette di cibo in conserva fornite da un commerciante disonesto che aveva vinto l’appalto e che, per guadagnare di più, le aveva malamente sigillate con il piombo. Tra i resti umani trovati dalle più recenti ricerche, i patologi hanno riconosciuto tracce sicure di avvelenamento appunto da piombo.
Invano gli Inuit, gli indigeni che per millenni avevano rosicchiato la propria esistenza fra quei ghiacci, avevano tentato di dissuadere l’ammiraglio, i comandanti delle navi e i geografi a bordo dall’inoltrarsi nel dedalo fra le isole Victoria, Melville, Devon, Baffin e Beechey, dove infatti le due tombe sarebbero stato trovate. Molte altre spedizioni i nativi Inutit avevano visto salpare e non tornare, ma l’ammiraglio era troppo sicuro della fantastica tecnologia navale britannica di metà ‘800 per dare ascolto a quei “primitivi”. Salpò e per 160 anni di lui e delle sue magnifiche navi non si sarebbe saputo più nulla.
Non furono le prime navi a perdersi nella ricerca della rotta che, prima del Canale di Panama, avrebbe collegato i due Oceani e si sarebbe dovuto attendere il 1922 per vedere Amundsen riuscire, nella stagione del disgelo, divincolarsi nel labirinto e attraversarlo. Ma la scomparsa delle due unità speciali della Regina Vittoria, l’autorevolezza del comandante, l’attivismo della moglie, che prima aveva brigato alla Corte di San Giacomo per affidare la spedizione al marito e poi avrebbe tempestato l’ammiragliato inglese per organizzare le ricerche, crearono scandalo nell’Inghilterra vittoriana.
Una cifra enorme, 20mila sterline, tre milioni di oggi, fu offerta. Racconti di enormi iceberg vaganti con due navi incastonate nel ghiaccio circolarono. Un altro esploratore, John Rae, si spinse fino alle isole di Beechey e King William trovando reperti, lettere, scatolette di cibo e resti umani che sembravano presentare segni di morsi. Avanzò l’ipotesi del cannibalismo che la propaganda vittoriana respinse con orrore, come un’offesa intollerabile alla superiorità morale dell’ Homo Britannicus che mai sarebbe sceso a simili barbarie. Franklin fu beatificato e onorato con monumenti e targhe commemorative a Westminster. Un’altra spedizione alla ricerca del Passaggio fra i Ghiacci naufragò stritolata dal gelo e fra loro una nave demolita, la Resolute, fornì il legno per la scrivania donata dalla Gran Bretagna che i Presidenti degli Stati Uniti usano. La scrivania divenuta adorabile quando John John, il figlio di JFK, ci si fece fotografare dentro.
Ora, una delle due navi fantasma è finalmente apparsa sotto la superficie, intatta salvo per l’albero maestro mancante, visibile nell’acqua che sta sciogliendo i ghiacci. E apre quella rotta che nazionalismi, interessi strategici e commerciali potrebbero trasformare, anche più in fretta del riscaldamento della Terra, in una delle nuove “zone calde” del mondo.
Vittorio Zucconi, la Repubblica 11/9/2014