Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 11 Giovedì calendario

“SANTA” E AMBIENTALISTA L’ASCESA DI MARINA LA OBAMA DEL BRASILE CHE FA TREMARE DILMA

SAN PAOLO
Due donne. Due donne di sinistra. Entrambe discepole del leader politico che ha guidato l’exploit del Brasile nel primo decennio del secolo, e che ancora oggi, grazie alla sua popolarità, domina la scena. All’ombra di Lula, le presidenziali brasiliane del 5 ottobre s’avviano a diventare una battaglia a tutto campo fra il capo dello Stato in carica, Dilma Rousseff, e Marina Silva, la sua avversaria di sempre. Avversarie nel cuore di Lula, di cui Marina è stata per anni indicata come il miglior delfino possibile; avversarie nel governo, dal quale Marina s’è dimessa nel 2008 quando era ministro dell’ambiente, in polemica con l’agrobusiness in Amazzonia e gli episodi di corruzione che affioravano nel partito al potere.
Avversarie, infine, nelle urne già quattro anni fa, quando l’irruzione di Marina Silva nella campagna elettorale costrinse una lanciatissima Rousseff, appena incoronata da Lula, al ballottaggio. Marina, che è molto religiosa e è affiliata a una Chiesa evangelica fondamentalista, sostiene che sia stata la Provvidenza questa volta a rimetterla in gioco trasformando il paesaggio elettorale. Doveva esserci anche lei il 13 agosto sull’aereo precipitato di Eduardo Campos, il candidato del partito socialista che le aveva offerto il posto di vice dopo che il Tribunale elettorale aveva bocciato il suo nuovo partito, impedendole di candidarsi. «Ho deciso di cambiare programma all’ultimo momento, e mi sono salvata dall’incidente», ha detto. Ma non si è soltanto salvata. È diventata anche, da un giorno all’altro, il candidato presidente di un malandato partito socialista che, con lei, è risorto. Con la morte di Campos, Marina è esplosa nei sondaggi. L’ennesimo episodio inatteso in una vita da romanzo.
Marina Silva nasce poverissima cinquantasei anni fa nell’Acre, lo Stato dell’Amazzonia profonda. I suoi genitori erano siringueros, raccoglitori di caucciù, e vivevano in una palafitta. Da bambina s’ammala di malaria, di epatite e di una intossicazione da mercurio. Rimane analfabeta fino a sedici anni. Alla morte della madre, orfana con sette fratelli, entra in convento e inizia a studiare. Pensa di farsi suora ma poi si laurea in Storia, milita nel partito comunista rivoluzionario e fonda con Chico Mendes, il famoso siringuero assassinato dai killer dei proprietari terrieri nell’88, il primo sindacato dei raccoglitori di caucciù. A 36 anni diviene la senatrice più giovane del Brasile per il Pt, il partito di Lula, con il quale anni dopo condivide il trionfo elettorale del 2002.
Il metalmeccanico che diventa presidente e la raccoglitrice di caucciù che diventa ministro dell’ambiente. È la storia del Brasile moderno. Poi la separazione e la guerra fratricida. Nonostante due matrimoni e quattro figli, per i brasiliani Marina ha l’aura della santa. Ambientalista radicale estranea alla corruzione della politica. «È il nostro Obama», dicono. L’outsider che riaccende la speranza. Marina condensa la disillusione per le promesse mancate e riesce a raccogliere l’onda di quel malessere che scoppiò con le grandi manifestazioni contro i Mondiali di calcio due anni fa. Meno sperpero di soldi per il pallone, più scuole, sanità e servizi, chiedeva per le strade la nuova classe media brasiliana. E oggi interpreta quel diffuso desiderio di un cambiamento, di scrollarsi di dosso l’invadente egemonia del Pt, il partito dei lavoratori, al potere da dodici anni.
Ma Marina raccoglie consensi anche a destra. E non solo perché una delle sue migliori amiche e sponsor è Neca Setubal, l’ereditiera — un po’ sui generis — di Itaù, una delle banche più potenti del Brasile. In questi giorni nella Borsa di San Paolo gli operatori finanziari si rallegrano quando i giornali pubblicano i sondaggi. Con Marina vincente l’indice della Borsa è sempre in ascesa. Un fenomeno complesso, dove in una società multirazziale come questa, alla fine conta anche il sangue. Marina è meticcia. Discende da schiavi africani, indios locali e colonizzatori portoghesi. Le tre anime del Brasile. Un altro fattore importante in un’élite politica sempre dominata dai bianchi di provenienza europea.
Per quel che riguarda Dilma Rousseff, il vero guaio è che l’economia s’è fermata. Per la prima volta dopo un decennio di crescita sostenuta, fra il 5 e il 10 per cento, il Brasile è da sei mesi in recessione e Moody’s minaccia di abbassarne presto il rating. Della frenata e dell’inflazione che cresce tutti danno la colpa a Dilma e alle sue mancate riforme strutturali. I Mondiali che dovevano essere la panacea, la vetrina internazionale del nuovo Brasile, potenza continentale e mondiale, sono diventati un problema. E non solo per il 7 a 1 dei tedeschi. Molto di più per i miliardi buttati nei nuovi stadi. Dal Paese cool che affascina si è tornati alle disgrazie della vita quotidiana. Assediata dalla crisi, Dilma ha appena consegnato ai delusi il ministro dell’economia, Guido Mantega, affermando che non verrà confermato se lei sarà rieletta. Ma non basta, perché sulla campagna elettorale è precipitata l’ennesima storiaccia di tangenti ai politici del governo, lo scandalo di Petrobras, l’holding del petrolio. Altra energia per la candidatura di Marina, la delfina mancata che fa sognare il Brasile. Il programma di Marina Silva è neoliberale in economia (meno Stato, più mercato) e progressista nel sociale (istruzione, sanità, sussidi). E nonostante le sue contraddizioni, dall’adesione alle Chiese evangeliche al rifiuto di allargare i confini della legge sull’aborto e di approvare una legge per i matrimoni gay, Marina Silva è per Dilma Rousseff un veleno che contamina anche l’elettorato più fedele del suo partito. A differenza di Dilma — che venne cooptata come ministro nel 2002 — l’ha fondato. È nella sua storia e ora può contestare tutte le speranze insoddisfatte proponendo un nuovo inizio. «Marina è una santa, Dilma un’incapace» è lo slogan che a San Paolo, la capitale economica del Paese, usano i sostenitori del cambiamento contro chi, dal governo, accusa Marina Silva di essere soltanto una “amateur”, una avventuriera improvvisatrice e inaffidabile. Dal trend dei sondaggi sembra che il Brasile abbia una gran voglia di ricominciare a sognare, e che Dilma, del sogno, non faccia più parte.
Omero Ciai, la Repubblica 11/9/2014