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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

MARTIN AMIS: «TROPPI TABU, LA MIA SHOA NON È STATA CAPITA»

Il nuovo romanzo di Martin Amis, intitolato The Zone of Interest, è appena uscito negli Stati Uniti e in Inghilterra con critiche eccellenti: il Sunday Times lo ha definito «eccezionalmente coraggioso« e il termine «brillante» è stato utilizzato da molti recensori, compreso Richard Ford. Si tratta in effetti di uno dei suoi libri più importanti e commoventi, che tuttavia ha generato anche una reazione inaspettata: Gallimard, storico editore francese dello scrittore, ha rifiutato il manoscritto e lo stesso ha fatto il tedesco Hanser. Il libro, che è stato in seguito acquistato in Francia da Calmann-Levy e che uscirà in Italia nell’autunno del 2015 per Einaudi, sconcerta per l’ambientazione, il punto di vista e il tema: una riflessione sul desiderio amoroso all’interno di un campo di concentramento.
I protagonisti sono tre uomini che hanno diverse funzioni nello sterminio degli ebrei: Golo Thomsen, nipote di Martin Bormann; Paul Doll, la cui moglie Hannah è desiderata da Golo, e Szmul, un ebreo costretto a estrarre oro dai denti dei cadaveri delle persone uccise nelle camere a gas. Quest’ultimo è tormentato dai sensi di colpa («siamo gli uomini più tristi mai esistiti») e racconta, in uno dei passaggi più rivelatori, la storia del mago che costruisce uno specchio che riflette l’anima. Nella scena iniziale, due giovani parlano di lavoro lamentando che il capo abbia una donna molto desiderabile: sembrerebbe un discorso da bar, ma all’improvviso viene citata Ilse Grese, una delle più spietate aguzzine di Auschwitz, e cominciano ad affiorare dettagli sinistri. «Ho voluto dare proprio questo senso di apparente normalità» mi racconta nella sua casa di Brooklyn, «e all’inizio pensavo a una novella, ma poi l’idea di una storia d’amore all’interno di un’ambientazione disumana mi ha portato in direzioni inaspettate».
Come interpreta il rifiuto di pubblicare il libro da parte degli editori Gallimard e Hanser?
«Mi ha molto sorpreso. Evidentemente ci sono argomenti tabù: una mescolanza di ideologia e il desiderio di evitare problemi. Ovviamente, come accade in questi casi, le motivazioni addotte sono state puramente letterarie, ma leggendo le note ho capito che non hanno capito, o voluto capire il senso del libro».
Lei parla di atrocità usando anche momenti di ironia.
«Ritengo che sia un errore utilizzare solo la serietà per descrivere l’orrore. Ho usato la satira specie nel modo in cui descrivo il personaggio di Doll: c’è qualcosa di ridicolo nel suo essere pomposo, ma nello stesso tempo è un uomo che commette efferatezze».
Si può arrivare a essere comici trattando una tragedia?
«La storia dell’arte ci ha insegnato che a volte si è molto più efficaci con la leggerezza. Aggiungo che sono sempre contrario ai limiti e alle censure, e la risposta è nel modo in cui le cose vengono realizzate: un esperimento che ho apprezzato è il fumetto Maus di Art Spiegelman».
È la seconda volta che lei affronta il tema dell’Olocausto.
«W. G. Sebald arrivava a sostenere che “ogni persona seria non può parlare d’altro”. Io credo sinceramente che confrontarsi con l’abominio dell’Olocausto sia fondamentale per comprendere noi stessi. In La freccia del tempo raccontavo la storia partendo dalla fine per vedere come questo spostamento temporale cambiasse anche la morale. In questo caso ho cercato invece un approccio realista, cercando di evitare il genere».
C’è spazio per una storia d’amore e desiderio all’interno della più tragica mostruosità della storia?
«Certo, e può offrire lo spiraglio in cui si scorge l’umanità, e quindi la redenzione. Si tratta tuttavia di una storia d’amore frustrata, che aiuterà Golo ad avere maggiore coraggio e consapevolezza dell’orrore che sta vivendo».
Il romanzo ha alcuni aspetti in comune con Le benevole di Jonathan Littell.
«Apprezzo sempre i libri che affrontano grandi temi, e spero che questa sia la direzione della letteratura contemporanea. Nel caso delle Benevole si tratta di un romanzo interessante, specie nelle parti dedicate a Stalingrado e ad Auschwitz. Nel mio libro, invece, uno degli aspetti che mi interessava maggiormente era analizzare gli effetti dell’Olocausto su alcune persone che ne sono responsabili».
Il risultato delle loro azioni rimane sterile e tragico.
«Purtroppo la storia ci ha insegnato che è andata così, e non apprezzo chi la manipola secondo le proprie esigenze creative. Tuttavia ho cercato di capire l’animo dei personaggi, anche dei più ottusi e perversi: di fronte ai forni crematori, Paul si chiede “Se quello che stiamo facendo è buono, perché ha un odore così tremendo? E perché nel cuore della notte sentiamo l’insaziabile desiderio di ubriacarci brutalmente?”».
Pensa che l’Olocausto possa accadere nuovamente?
«L’antisemitismo continua a risorgere in Europa e altrove, a volte in maniera camuffata: i segnali sono allarmanti e in alcuni casi gravissimi. L’Olocausto ne è stata la logica e agghiacciante conseguenza».
Si è mai chiesto come sia stato possibile?
«Me lo chiedo ogni giorno, ma il male si può raccontare più che comprendere. L’umanità continua a perpetrare genocidi perché la malvagità è parte della sua natura: la leggenda dello specchio che mostra l’anima termina con la constatazione che nessuno è in grado di guardarlo per più di un minuto».
Gli artisti vedono le tragedie con anticipo.
«È un privilegio triste. Oggi viviamo un periodo che nessuno avrebbe mai predetto, segnato dalla disintegrazione degli stati e da pulsioni estremiste: l’estremismo ha sempre rappresentato una costante disastrosa per l’umanità, e non ha mai generato nulla di buono. Il rischio maggiore è rappresentato dal fondamentalismo e il più pericoloso è quello che si sposa con l’antisemitismo».