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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

IL FASCINO DISCRETO DELLA PASSERELLA

Luci, bellezza, paillettes e lustrini. Tutto si esaurisce in una quantità minima di tempo per poi sparire, come un mandala disegnato sulla sabbia. Ma, di fatto, il suo è un lavoro quasi matematico. Perché precisione, tecnica e logica sono fattori indispensabili alla riuscita di uno show di moda. E lo sa bene Sergio Salerni, regista di sfilate dalle indiscutibili doti di creatività e di rigore, con l’aria scanzonata, il sorriso aperto e quel modo di essere presente ma come se fosse sempre altrove, che lo fanno sembrare il cugino milanese di Kusturica.
Lo si incontra nei backstage delle sfilate o al bordo delle passerelle, concentrato e sereno mentre tutti intorno a lui si agitano. Non c’è quasi avvenimento di moda che non abbia la sua regia: con la sua casa di produzione crea le coreografie e documenta gran parte di ciò che succede. «Riesco a lavorare con la giusta tensione e contemporaneamente con la calma che mi è consona. Devi capire e gestire tutto, controllare che tutti siano al loro posto, che rispondano e che siano pronti a ogni evenienza. Ho le mie assistenti che stanno nel backstage, io sto in sala. Il nostro è un linguaggio fatto di segni e codici, abbiamo tutta una serie di backup, perfezionati nel tempo. Se manca o succede qualcosa, sappiamo che ogni dieci secondi esce qualcuno a verificare. Per cui si continua lo stesso. È un lavoro di grande equilibrio e capacità - aggiunge - anche perché i tempi si accorciano sempre di più. E devi sapere che ciò che hai fatto può essere ribaltato, fino all’ultimo».
Sergio Salerni nasce a Gavirate, un paesino sul lago di Varese, in una famiglia di impiegati statali. Fin da piccolo acquisisce una certa consuetudine al nomadismo, approda a Milano e negli anni ’60 lavora in Rai come cameraman. Poi arriva l’esperienza in un’agenzia di pubblicità dove "impara il mestiere". Responsabile del reparto cinema, segue tutte le produzioni e lavora a contatto con i registi dei film pubblicitari: «In quegli anni tutto era pionieristico. Chiunque, con un po’ di lucidità e voglia di fare, poteva proporsi. Ho trovato delle persone che mi hanno permesso di dirigere i primi film di pubblicità, e così è iniziata la mia carriera di regista».
Negli anni ’80 crea la sua casa di produzione, la Videogang, nome che interpreta lo spirito che animava - e anima tuttora - la squadra. Appassionato anche di musica, in quegli anni lavora con Demetrio Stratos, ma anche Gianni Sassi e Sergio Albergoni del gruppo Fluxus. Gira i video per i musicisti più all’avanguardia dell’epoca, gli Area, la PFM, il Banco di Mutuo Soccorso.
E, ben presto, inizia a dirigere anche lavori più commerciali: «I pannolini, gli sciampi... fino a quando mi hanno affidato dei profumi, ed erano quelli di Valentino, di Versace. Così ho conosciuto i grandi nomi della moda ed è iniziato il sodalizio». In quel momento esistevano già figure professionali che organizzavano le sfilate, ma senza una provenienza specifica da campi come il cinema o lo spettacolo.
Salerni applica da subito tecniche e tecnologie innovative. «Il mio è stato un approccio diverso, per le luci e la messa in scena. Che ha determinato grossi cambiamenti». Le sfilate diventano un vero e proprio spettacolo: «Ricordo che quando ho cominciato a lavorare con Gianni Versace era proprio questo senso della luce e della spettacolarizzazione a piacergli. Con lui abbiamo fatto show imponenti, sembravano realizzazioni teatrali. Anche i tempi erano quasi teatrali, lo studio, la creazione della scena e anche le prove: ci volevano un paio di giorni per ottenere l’atmosfera giusta, non si poteva improvvisare».
Salerni afferma di essersi appassionato al mondo della moda proprio grazie a Versace: «Un grande esempio di creatività senza limiti, senza confini». Poi, come in tutte le cose, ai picchi subentra la stanchezza, l’assuefazione. «Oggi tutto è minimale e tecnico. Ormai si tratta solo di creare le condizioni migliori per il messaggio che vuoi comunicare. Un set studiato apposta, una luce impeccabile. I modelli escono uno ad uno: una cosa abbastanza semplice».
Fondamentale rimane lo scambio di idee e di informazioni tra il regista e il designer anche se ora è più un lavoro di produzione dell’evento dove l’apporto creativo è minore. «Rimane questa macchina infernale da guidare fino in fondo alla passerella. Tantissime persone coinvolte, dove ognuno ha un piccolo ruolo. L’impronta è quella delle produzioni americane», spiega Salerni.
Oltre alla regia, un’altra passione lo rende un uomo speciale, fuori dal coro della moda individualista: la sua famiglia, con i suoi quattro figli e la ricerca costante di una normalità. Si definisce un creativo-contadino. «Creativo, perché in tutta la mia vita sono sempre stato obbligato a creare, a pensare in continuazione, dagli storyboard per i filmati alle idee per le sfilate. Però nell’anima mi sento un contadino. Appena posso, vado in campagna, per curare la terra e lasciare che il lavoro manuale prenda il sopravvento». Una casa sul Lago Maggiore e da poco anche un’altra, in Puglia, dove ricaricare le batterie, insomma. «Devi creare il vuoto. Non ricordare niente per essere in grado di pensare a cose nuove sempre, questa per me è una grande qualità». Per lui, una vera ricchezza: «Perché le cose che ho fatto le ho dimenticate, e sono sempre pronto a ripartire da un punto zero. Il bello di questo lavoro è che si tratta un mestiere effimero. Stagione dopo stagione, lavori senza sosta ma non accumuli perché in fondo la regia di una sfilata, o di un evento, dura un niente, irripetibile, fatto una volta sola, in quel tempo predeterminato, e poi è finita. Non è come uno spettacolo teatrale che replichi, o un film, che rivedi, è l’emozione di un attimo».
Mantiene un giusto entusiasmo, si diverte, non è mondano Salerni, che si definisce tutto tranne che modaiolo. Questo gli ha permesso di avere uno sguardo più neutro, distaccato e ricercato dai più importanti designer del fashion system. «Sono un professionista e faccio il mio mestiere. Questo mi fa avere il giusto distacco, e quando ho finito un lavoro mi ritiro, non partecipo ai riti collettivi».
Se gli si chiede delle nuove tecnologie risponde disincantato che oggi «chiunque può schiacciare un tasto o fare una foto, montare un film da casa in altissima definizione, creando l’illusione che l’abito non sia su uno schermo, ma che sia lì davanti a te». Eppure, nonostante tutto, Salerni ama pensare che le sfilate abbiano ancora un senso: «Non si può fare a meno di questo momento magico, per quell’attimo di frenesia lavorano decine e decine di persone. È una cosa difficile da sostituire». Certo, fa riflettere il fatto che un po’ di anni fa era impossibile parlare di streaming, la condivisione era un’utopia e la sfilata, che prima era per 500 persone, adesso è per milioni di follower. Ma forse è bello che sia così, «che la diretta sia mondiale, che lo show sia globale».