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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

PER QUANTO TEMPO ANCORA…


Si chiama «legge di stabilità», ma più instabile di così non potrebbe essere: a forza di mettere, aggiungere, scaricare, sembra già la zattera della Medusa. L’assunzione dei supplenti? «Nella legge di stabilità» proclama Stefania Giannini, ministro della Pubblica istruzione. Le pensioni per gli esodati della riforma Fornero? Nella ex finanziaria, assicura Giuliano Poletti, ministro del Lavoro. Gli incentivi per ristrutturare le case? Sempre nello stesso calderone. E così la banda larga, il taglio al cuneo fiscale per le imprese, gli 80 euro (solo questi ammontano a 10 miliardi), il rifinanziamento della cassa integrazione (2 miliardi), le spese indifferibili come le missioni militari, mentre la Nato vorrebbe che Roma salisse dall’attuale 1,3 per cento del prodotto lordo verso quota 2. E non basta, bisogna trovare un pertugio anche per gli stipendi dei poliziotti.
Una stima completa non c’è ancora. Si è sempre parlato di 20 miliardi, ma questa è la cifra che Bruxelles ha chiesto al fine di rispettare i parametri europei. E tutte le promesse che saltano fuori a ogni pié sospinto? Ecco così che le risorse necessarie salgono a quota 23 o addirittura 25. È una tela di Penelope alla quale lavora il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ben sapendo che il capo del governo reciderà un filo e ne aggiungerà un altro.
In un batter d’occhio Renzi ha fatto cadere alcuni punti fermi: la vendita di quote dell’Eni e dell’Enel, la valorizzazione degli immobili, la ristrutturazione delle municipalizzate e, soprattutto, ha messo una pietra sopra la spending review. Addio a Carlo Cottarelli che a ottobre rientra a Washington al Fondo monetario internazionale. Si torna ai tagli all’italiana. Anche se gli anglomani li chiamano «bottom-up» cioè che partono dal basso e qualcuno «semi-lineari», la sostanza è una sola: ciascun ministro dia una sforbiciata pari almeno al 3 per cento.
Il meccanismo evoca precedenti sulfurei. Domenico Siniscalco aveva provato nel 2004 con il 2 per cento ed era stato un flop. Giulio Tremonti ha avuto più successo nel 2010 riuscendo a ridurre di un punto la spesa rispetto al prodotto lordo. Ma si è tirato addosso l’ira dell’intero governo. In ogni caso, dai tagli lineari od orizzontali che dir si voglia, non verrà un gran gettito. La spesa dell’amministrazione centrale ammonta a 259 miliardi. Tre punti percentuali fanno 7 miliardi e mezzo, troppo poco. Esclusi gli stipendi agli statali (già bloccati), si pensa di mettere mano anche ai 110 miliardi di spesa sanitaria. La ministro Beatrice Lorenzin strepita: «Toccare il fondo con tagli senza investimenti mette in crisi il sistema». Restano le pensioni, c’è già un progetto per ridurre quelle superiori alla media, ma è una bomba politica e sociale.
Renzi ha impiegato pochi giorni per disfare l’ordito di Padoan. Il 27 agosto salta fuori l’assunzione di 150 mila supplenti. Costo 4 miliardi e un po’ di soldi vanno trovati subito perché si parte a settembre 2015. Il 28 il ministro dell’Economia annuncia la vendita di pacchetti del 5 per cento di Eni ed Enel. In borsa si registra un calo per l’azienda petrolifera del 2,9 per cento e per quella elettrica dell’1,75. Il 3 settembre Renzi dà il contrordine e i titoli risalgono (Enel +2,3 ed Eni +1,26) con scambi sostenuti. Il Tesoro preferisce continuare a intascare i dividendi piuttosto che i 5 miliardi (questa la stima) una tantum. Scelta prudente anche perché quei soldi sarebbero finiti nel calderone della spesa corrente, ma il mercato ha ballato.
Venerdì 29 il consiglio dei ministri vara lo Sblocca Italia, un centinaio di provvedimenti già scesi a 45. Ma fino a martedì 9 settembre al Quirinale non era arrivato alcunché: i documenti ufficiali stanno facendo il giro dei ministeri e cambiano in continuazione. Dei fantomatici 43 miliardi annunciati, ne restano 3,8, ma entro il 2015 saranno spendibili solo 296 milioni. Un’inezia. Certo non verrà da qui lo stimolo all’economia.
Renzi si è dato tre anni di tempo, mentre a primavera aveva venduto all’opinione pubblica una tabella di marcia addirittura mensile: a fine marzo il mercato del lavoro, il 25 maggio la legge elettorale, a luglio 7 mila cantieri scolastici e via a passo di carica. Nel frenetico calendario era entrato anche il giorno di San Matteo, il 21 settembre, data limite per sbloccare i debiti della Pubblica amministrazione: sono 68 miliardi, Padoan finora ne ha trovati 30. Il ministro sa bene che la finanziaria è una corsa a ostacoli. Ma è ancor più arduo mettere insieme i numeri con un capo del governo insofferente, voglioso di trovare un altro colpo a sorpresa come gli 80 euro, una scelta politica che ha costretto a rifare i conti da capo.
Vengono escluse operazioni straordinarie per ridurre lo stock del debito: solo valorizzazione degli immobili, con risultati incerti e non a breve, visto anche lo stato del mercato. Nessuna patrimoniale: «Esiste già» ha ammesso il ministro. Si discute su un aumento della tassa di successione oggi più bassa che negli altri paesi (altra batosta sulle case). Le rendite finanziarie, dopo i 3 miliardi di questo anno, dovrebbero dare altri 755 milioni a meno che non salga ancora l’imposizione. Poi c’è la clausola di salvaguardia che prevede di sfoltire le detrazioni per 3 miliardi dal primo gennaio 2015. L’anticipo dell’Iva sui debiti della Pa (5 miliardi se saranno pagati tutti gli arretrati) e i risparmi dal calo dello spread (si spera 2 miliardi) sono altre due incognite.
Padoan è consapevole delle proprie difficoltà politiche. L’economista è stato vicino a posizioni riformiste all’interno del Pd, ma di quel riformismo dalemiano che Renzi detesta. Il presidente della Repubblica ha garantito per il ministro e lo difende. Venerdì 29 agosto Giorgio Napolitano lo ha chiamato al Quirinale. Il giorno prima aveva convocato il presidente del Consiglio. Incontri separati anche se il messaggio è identico: Mario Draghi ha dato la linea nel discorso di Jackson Hole nel Wyoming e bisogna seguirla.
Senza molti margini di manovra, Renzi si sente come Ercole con la veste del centauro Nesso: la sua camicia bianca rischia di soffocarlo. Yorem Gutgeld, ex McKinsey oggi deputato Pd, è già apparso come uomo di fiducia al quale affidare i tagli alla spesa. Un incarico informale, nessun ufficio è stato allestito a Palazzo Chigi dove regna un clima di sospetto. Antonella Manzione, ex vigilessa capo a Firenze, ha confessato al Messaggero la sua vita agra tra «trappole e diffidenze». Renzi prova ad allargare «il giglio magico» e consulta in continuazione Andrea Guerra: lasciata Luxottica potrebbe entrare nella squadra di governo. Tutti colpi sotto la cintola. La gogna è il destino di chi entra in via XX Settembre, fin dai tempi di Quintino Sella. Ma questo tira e molla indebolisce Padoan dentro il governo e rispetto al Parlamento. Non solo: rischia di delegittimarlo anche in Europa. Sale così il tam tam su una sua sostituzione, varata la finanziaria. I tecnici che danno lezioni ai politici, Renzi l’ha ripetuto, sono anch’essi da rottamare.