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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

LA GIUSTIZIA SI PUÒ RIFORMARE SOLO CONTRO I MAGISTRATI


La vostra riforma della giustizia fa schifo, semmai dateci le risorse, i soldi; le vostre accuse sono false, se la giustizia va a rotoli noi non c’entriamo niente, mai, e non è vero che facciamo più ferie degli altri, e non è vero che i nostri errori sono impuniti, del resto non è neppure dimostrato che la Terra giri attorno al Sole.
Ora: c’è qualcuno disposto a sostenere che l’Associazione nazionale magistrati sostenga qualcosa di diverso da circa 25 anni? È un sindacato, l’Associazione, questo forse non è chiaro a tutti, ma è un sindacato di quel genere che nega e ri-nega sempre. Ed è appunto la negazione anche dell’evidenza a farsi rivelatrice: discutere con l’Anm non è mai servito a niente, è solo una cortesia formale. Qui non si tratta di sostenere che tutti i magistrati scappino alle Hawaii per due mesi all’anno, si tratta di ammettere che un certo problema esiste: di magistrati che lavorano mediamente poco ce ne sono ancora tanti, troppi, e apprendere che il dottore «oggi non c’è» oppure che «oggi lavora a casa» o che «oggi non è venuto» suona familiare a chiunque frequenti i palazzi di giustizia. Il fatto che pochi si sobbarchino il lavoro di molti non elimina i problemi, e i problemi li conosciamo, i numeri pure, non staremo a ripeterli: ma secondo l’Anm i problemi sono altri, sono cioè la norma sull’autoriciclaggio e la Legge Cirielli e il falso in bilancio. Il problema non è, cioè, che i magistrati sono anche dei dipendenti statali come gli altri e quindi soffrono degli stessi tic, con la straordinaria differenza che loro non timbrano neanche il cartellino: guai a dirlo. E guai a ricordare che sono dipendenti statali che hanno tuttavia un potere smisurato, statisticamente impunito, soggetto a carriera automatica e ad alcun controllo psico-attitudinale: discutere di questo significa attentare alla Costituzione. Dunque dovremmo arrenderci al fatto che «i magistrati lavorano anche e soprattutto da casa» (Il Fatto Quotidiano, ieri) anche se i risultati sono questi, e dovremmo berci che il deserto estivo di procure e tribunali sia tutta colpa della lobby degli avvocati: che hanno tante colpe, cribbio, ma non diamole anche questa. L’altro giorno persino Il Foglio plaudiva all’intervento di Piercamillo Davigo al forum Ambrosetti di Cernobbio, laddove ha detto che ci vorrebbe un filtro contro le cause inammissibili perché palesemente infondate, un filtro contro quelle cause, cioè, accese solo per interessi della lobby degli avvocati. Giusto, bravo Davigo e bravo Foglio, ma volendo fare i puntigliosi si potrebbe replicare che questi filtri esistono già, si chiamano indagini preliminari e udienze preliminari, sedi in cui troppi magistrati incriminano o rinviano a giudizio spesso automaticamente facendo celebrare infiniti ed evanescenti processi che palesemente non stavano in piedi sin dall’inizio. Colpa degli avvocati? O colpa di quei gup che, per non sbagliare, non cassano mai una sola richiesta di rinvio a giudizio? Colpa degli avvocati o di quei pm che riprorogano le indagini perché semplicemente non le hanno mai davvero iniziate? Problemi inesistenti: tanto esistono i risarcimenti per ingiusta detenzione, a carico nostro.
Ma qui stiamo scivolando in faccende di procedura: che ne sanno i cittadini di queste cose? Giusto anche questo, ma forse qualcosa lo percepiscono persino loro. Ricordate quando l’ex ministro Renato Brunetta propose i tornelli a palazzo di Giustizia? Sarà anche stata una provocazione, ma un sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera nell’ottobre 2008 vide favorevole l’80 per cento dei votanti: forse erano tutti vittime delle percussive campagne berlusconiane che ora sono diventate renziane. Come se Matteo Renzi, che ora va sul liscio nel denunciare le troppe ferie dei magistrati, fosse un corruttore di coscienze e non indugiasse su un problema che evidentemente è sentito: tranne che dall’Anm e dal Fatto Quotidiano.
È quando gli tocchi le ferie o il cedolino che i magistrati tornano a sentirsi degli statali come gli altri: e il fatto che non si riescano a toccare né le ferie né il cedolino dimostra viceversa in che misura degli statali come gli altri non lo sono. È anche per questo che cambiare la magistratura con l’assenso della magistratura, in Italia, è semplicemente impossibile, così come il cercare di concertare una riforma «ampiamente condivisa» serve solo a non riformare niente. La verità è che non ci sarà nessuna riforma, seria, senza cambiare la Costituzione, e senza, quindi, scatenare l’inferno. «Condiviso», in Italia, significa soltanto annacquamento, compromesso, infine il nulla.
Qui i giovincelli e le ministre carucce possono poco: la magistratura appare come l’unico potere non riformato e semmai debordante, palesemente corresponsabile della propria invasività nella vita pubblica, un potere però indisposto, nel contempo, ad ammettere un benché minimo ruolo nella calamità organizzativa che la riguarda. Parliamo di un potere che è in grado, a colpi di giurisprudenza, di neutralizzare, svuotare, piegare qualsiasi legge che la riguardi che riguardi le velleità originarie del legislatore su un dato problema. È lo stesso potere che negli ultimi vent’anni è stato in grado di far saltare ministri o governi che abbiano cercato di occuparsene: e i sospetti sulla «giustizia a orologeria» di questi giorni dimostrano quantomeno che la totale discrezionalità della magistratura nel fare e disfare procedimenti è qualcosa che tutti ritengono assodata. Il punto, grave, non è se certi provvedimenti siano a orologeria o no: il punto è che in Italia viene considerata una possibilità come un’altra. Ecco, in sede europea forse andrebbe spiegato anche questo.
Per cambiare davvero le cose della giustizia italiana, a ben vedere, l’occasione sarebbe ghiotta: perché il Pd è al governo e perché il centrodestra è disponibile. In passato era ben diverso: qualsiasi proposta berlusconiana non andava bene alla sinistra e in ogni caso il Pd non aveva nessuna riforma seria da opporre, anche perché aveva, per dire, gente come Di Pietro in batteria. Ogni posizione dell’Associazione nazionale magistrati, al dunque, veniva sposata. Ora invece Renzi dice che l’Associazione non gli fa paura. Ma un po’ ce l’ha. Perché in Italia, benché avesse il latte alla bocca, negli ultimi vent’anni c’era anche lui.