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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

A SCUOLA

[Seconda parte] –

Milano, settembre
Amarcord, ultima puntata. Si concludono le testimonianze eccellenti dedicate al primo giorno di scuola. Guardate quanto è serio un inedito Massimo Giletti. E come è tenera Barbara De Rossi. Poi c’è il sorriso di Fabrizio Frizzi, che già sogna di volare alto, e molto ancora.

MASSIMO GILETTI conduttore
«Il primo ottobre 1968 sono arrivato alla scuola Giacomo Matteotti di Torino con la cartella di cuoio ereditata dai miei fratelli e mia madre, Giuliana. Quando lei è tornata a casa io ci sono rimasto malissimo, non avevo capito che sarei rimasto solo e ho pianto. Avevo paura di non ritrovarla all’uscita. Con la mamma ho sempre avuto un rapporto speciale. Per fortuna, la maestra, Maria Bernocco, è stata molto materna. In classe, interamente maschile, ho legato subito con Giorgio Martorelli, che ho poi ritrovato al liceo classico e ancora oggi frequento. In cortile, durante la ricreazione, o in palestra, cercavo di giocare con le bambine. Già dall’inizio della prima, mi piaceva studiare. Copiavo giusto i compiti di matematica. I primi giorni di scuola ho disegnato molto: sui fogli comparivano case sotterranee, casette sugli alberi e grandi televisori».

BARBARA DE ROSSI attrice
«Ricordo una grande emozione, i preparativi e mia madre che stirava il nastro rosa del fiocco. Non ho pianto. Ero curiosa: tutto era nuovo. La scuola era la Ricci Curbastro di Padova, dove vivevo in quel periodo. Sono stata accompagnata da mia mamma, Sofia, e ricordo che mi fecero sedere a metà classe perché ero molto alta. La maestra, dolcissima, raccontava a mia madre quanto fossi portata per l’italiano e la bella scrittura. Ho un buon ricordo di lei. Mia madre mi aveva spiegato che sarebbe stata come una seconda mamma e che dovevo essere gentile con lei».

PLATINETTE conduttore
«A sei anni sono entrato al Villaggio del fanciullo, periferia di Parma, gestito dalle suore. Arrivai accompagnato da mia sorella Maura: avevo paura, ero ammutolito. Mia mamma Bianca, operaia, e mio padre Ugo, muratore, lavoravano, non avevano tempo. In quell’istituto ero l’unico bambino che rimaneva il pomeriggio, gli altri andavano a casa. Mangiavo con le religiose, pulivo il giardino, leggevo i libri della biblioteca. Ho fatto esercizi di solitudine. Adoravo la mia prima maestra, Gabriella, bella, bionda, occhi azzurri, simpaticissima. Quell’insegnante dava anche lezioni di musica rendendomi felice: la scuola non era più una prigione, ma un laboratorio creativo. Ed era vicino a casa, la raggiungevo da solo: ricordo che un pedofilo con la Fiat Dino blu mi seguiva, ma non gli ho mai dato confidenza».

FABRIZIO FRIZZI conduttore
«Essendo già stato all’asilo, il primo giorno delle elementari non fu troppo traumatico. Mi guardavo intorno con l’occhio da detective per cercare di capire chi erano tutti quegli sconosciuti, se dovevo difendermi o se la maggior parte di loro sarebbe entrata presto nella cerchia dei nuovi amici. Piano piano ho creato buoni rapporti con i miei compagni di classe. C’era, ante litteram, un’atmosfera da Soliti ignoti, il programma che ho condotto su Rai 1. Ho frequentato le elementari nella scuola Cesare Nobili di Roma, non lontano da casa, accompagnato a turno da mia mamma e da mio fratello. Immagino, perché non me lo ricordo, che il primo giorno mi abbiano accompagnato entrambi. Papà credo fosse al lavoro, ma non voglio fargli il torto di esserne sicuro, perché magari invece c’era anche lui. Io farò qualunque cosa pur di non perdermi il primo giorno di scuola di mia figlia, Stella. La mia era una classe di soli maschi. Il misterioso elemento femminile si trovava in un’altra area della scuola. Si sbirciava da lontano cercando di capire le differenze e perché quella bambina ricciolina attraeva di più il mio sguardo rispetto alle altre. Ero timido, ma anche entusiasta, e a scuola alternavo gli stati d’animo confondendo me stesso e soprattutto la maestra. Che poi fu sostituita dal maestro Cecconi che ci accompagnò fino alla quinta. Lo abbiamo ricordato con affetto la sera in cui ai Soliti ignoti, nel 2008, gli autori mi hanno fatto la sorpresa invitando alcuni miei compagni delle elementari».

ELISABETTA GARDINI
europarlamentare
«Ero emozionata e felice, quel mio primo giorno di scuola alla Felice Cavalletto di Padova. Non ero andata all’asilo e aspettavo con ansia che arrivasse il tempo della prima elementare. In classe, tutta femminile, ci stavo bene. E a casa guardavo il maestro Manzi alla tv. La maestra era bravissima e teneva un quaderno speciale, che lei chiamava d’oro, dove ci faceva scrivere i nostri pensieri più belli. Una volta ho preso una nota perché ho riferito che la mia compagna, invece di scrivere con matita e pennino, secondo la regola, scriveva con la biro. La maestra mi ha fatto capire che non si fa la spia e che ognuno è responsabile di se stesso. Io mi sono vergognata molto, ma ho imparato la lezione».

COSTANTINO VITAGLIANO
ex tronista
«Il primo giorno di scuola piangevo e scalciavo: volevo restare a casa, con mia madre. In effetti, sono sempre stato un po’ mammone. La mamma mi aveva messo il grembiule e inamidato il colletto, ma io facevo i capricci. Mi rivedo ancora in palestra mentre lasciavo la mano della mamma per mettermi in fila con gli altri bambini. Non conoscevo nessuno e il distacco da lei mi sembrava insopportabile. Fin dall’inizio, tra me e la maestra non c’è stato un grande feeling: mi tirava le orecchie e pure qualche ceffone. Certo, io creavo un po’ di confusione, ero iperattivo e distratto».

STEFANO D’ORAZIO musicista
«La scuola dove avrei iniziato la mia poco brillante carriera di studente era a 200 metri da casa: Beata Angelina delle suore francescane, nel quartiere romano di Monteverde. Lì avevo già frequentato l’asilo, ma quel primo giorno tutto mi sembrava sconosciuto. Percepivo che qualcosa nella mia vita sarebbe irrimediabilmente cambiato. In peggio. Il grembiulino bianco degli anni felici era stato sostituito da un lucidissimo grembiule nero, sormontato da un rigido colletto di plastica con fiocco blu. E peccato che il Telefono azzurro non fosse ancora operativo! Quel giorno mi rifugiai negli ultimi banchi e una suora grassa e ingrugnata tuonò: “Sono suor Stefanina e sono la vostra maestra. Farò l’appello. Dovrete alzarvi in piedi e rispondere: presente”. Una decina di ragazzini cominciò a piangere».

SELVAGGIA LUCARELLI scrittrice
«Asilo, elementari e medie dalle suore, a Civitavecchia. Del primo giorno ho un ricordo nitido: io che guardavo stupita gli altri bambini e non capivo perché piangessero. La paura e il trauma del distacco non mi appartenevano, piuttosto manifestavo un forte senso di indipendenza e di osservazione. Ero già intollerante a tutto ciò che crea uniformità, quindi detestavo il grembiule. Fingevo d’averlo scordato e dalle suore rimediavo sonore sgridate. Non di più, però, perché ero brava e prendevo buoni voti. Ricordo ancora le incursioni a sorpresa della preside, suor Clelia, che ci ispezionava cartelle e quaderni: un vero terrore».


(Hanno collaborato Leda Balzarotti, Mariagiovanna Capone e Barbara Miccolupi)