Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 03 Mercoledì calendario

A SCUOLA

[Prima parte] –

Tutti abbiamo avuto il nostro primo giorno di scuola. E anche loro, i cosiddetti vip. Ma guardate la faccina di Fabio Fazio o quella sorridente di Serena Autieri: non fanno tenerezza? Spigolando tra i ricordi, ecco l’esordio sui banchi di testimoni eccellenti.

FABIO FAZIO conduttore
«Il primo giorno di scuola, alla Mazzini di Savona, mi accompagnò la mamma. Mio papà venne a prendermi e scattò la foto che pubblicate. Nell’immagine si sarebbe potuta leggere anche la scritta “Nixon boia”, che avrebbe connotato bene l’anno della mia prima elementare. Alla Mazzini c’era la sezione maschile separata da quella femminile. Le ragazze le avremmo viste solo alle medie. Per cinque anni non ne abbiamo conosciuto l’esistenza! Ero stato preparato molto alla prima elementare: la scuola era una cosa seria in casa mia, strumento unico di possibile promozione sociale. Anche la cartella era stata scelta con cura. Avevamo il grembiule con un colletto rigido in plastica, portatore di sudore ed eritemi. La maestra era severa e teneva molto al disegno, cosa che a noi bambini non dispiaceva affatto: era l’unico momento di svago consentito. Non abbiamo mai fatto Educazione fisica né andavamo in cortile a giocare. Avevamo la ricreazione naturalmente: dieci minuti per andare in bagno, marciando a due a due e senza parlare. Erano altri tempi, e per fortuna non ci sono più».

SERENA AUTIERI attrice
«Napoli, scuola pubblica. Ho del primo giorno un ricordo galvanizzante, a partire dalla preparazione. Mamma mi aveva stirato il grembiulino, appeso nella mia stanza, ed eravamo andate in cartoleria a comprare matite e pastelli. Adoro dipingere! Ero talmente felice da aver somatizzato con qualche doloretto alla pancia. Maria Rosa Capobianco, la maestra delle elementari, è stata importantissima per la mia formazione. Alla recita di Natale mi affidava più ruoli, avendo già intuito la mia predisposizione artistica. Le devo davvero molto».

KARIN PROIA attrice
«Ricordo la cartella grande grande, con un orsetto, che mi sono portata dietro per i cinque anni delle elementari (allora ci si affezionava alle cose, e si faceva economia). Ricordo i calzini bianchi da brava bambina e il tanto sonno che avevo, quel primo giorno, io che sono una dormigliona. Alla scuola di Borgo Podgora, frazione di Latina, ci conoscevamo già tutti e non ho avuto problemi di inserimento, anzi. Ero molto eccitata dalla novità. E poi contavo sulla maestra Edda, simpatica, affettuosa. Il mio grande amore».

ALESSANDRO CECCHI PAONE conduttore
«Ricordo il primo giorno come un fatto traumatico, piangevo a dirotto. Avevo sei anni e cominciavo la seconda elementare a Napoli, perché avevo fatto la “primina” a Roma a cinque anni. Mio padre, ingegnere civile, aveva dovuto trasferirsi per lavoro. Ero un bambino timidissimo, mi sentivo insicuro: il cambio di città e di amichetti mi apparve come una tragedia. Vista la situazione, per varcare la soglia della Domenico Cimarosa, in via Posillipo, mi accompagnò un piccolo comitato familiare: oltre a papà e mamma, si aggiunse anche il nonno paterno Nicolò. Poi, piano piano, le cose cambiarono».

VLADIMIR LUXURIA conduttrice
«Andare a scuola per la prima volta mi rendeva entusiasta, non vedevo l’ora di affrontare questa nuova avventura. Mi accompagnò mia madre, entrai alla “Don Giovanni Bosco” di Foggia indossando il grembiulino blu e il fiocco bianco. Ma la mamma mi aveva infilato dei calzoni alla zuava che detestavo: solo io li portavo. Non dimenticherò mai la mia prima maestra, Maria De Santis, donna preparata e severa per una classe agitata. Ho sempre amato studiare, ero la prima di banco e la prima della classe. L’unico inconveniente era dato dal fatto che a quel tempo i sessi venivano separati: la mia classe era tutta di maschietti. La mia diversità era già evidente e mi prendevano in giro. Ma io avevo un metodo per difendermi: aiutavo quelli più aggressivi e così li tenevo a bada».

RICKY TOGNAZZI attore e regista
«Ricordo pochissimo del mio primo giorno di scuola. In verità, il giorno che ricordo bene è l’ultimo! Ho fatto la prima elementare al Collegio San Carlo di Milano, accompagnato da mamma Pat e da papà Ugo, anche se erano già separati. Non ho pianto per niente, anche se ero emozionato: per l’intera estate tutti mi ricordavano l’evento in arrivo, l’aspettativa era caricata a pallettoni. La maestra, Marta Ripamonti, era piuttosto dura e di scarsa simpatia. Insomma, non vedevo l’ora che finisse: il mio incubo quotidiano era di essere bocciato e di stare lì un altro anno. Dopo l’esperienza dai preti diocesani del San Carlo, mi sono toccati i Gesuiti del Leone XIII. Ho proseguito gli studi in Inghilterra in una scuola protestante, la Solihull Public School vicino a Birmingham, dove abitavano i miei nonni materni. Non mi sono fatto mancare proprio nulla! Poi finalmente l’ultimo anno ho frequentato una scuola pubblica italiana: lì ho finalmente conosciuto la libertà e non ho più fatto un cavolo».

ROBERTO MARONI
presidente della Regione Lombardia
«Ho bei ricordi del primo giorno di scuola, alla Giovanni Pascoli di Lozza, paese in provincia di Varese. Mi accompagnò la nonna materna, che viveva con noi: mio padre lavorava in banca e mia madre aveva un negozio di generi alimentari. A scuola da subito mi sono sentito come a casa: conoscevo la maestra, Maria Rosa Colombo, che era amica di mia madre e abitava nel mio cortile, e avevo come compagni di classe gli amici dell’oratorio. Sono stato da subito un secchione, anche nella foto ho un’aria da angioletto. Ero in una pluriclasse: noi di prima eravamo solo 9, gli altri erano di terza. L’unica nota stonata era il colore dei grembiuli: bianco per le bambine e nero per i maschietti. Tutto troppo juventino per me milanista. Ero curioso, imparavo subito e facevo i compiti anche per gli altri. Sì, come Berlusconi, ma io non mi facevo pagare. Ed ero anche incaricato di mantenere l’ordine, scrivendo sulla lavagna i nomi dei buoni e dei cattivi. Le punizioni erano severissime e di tre tipi: la maestra ti chiamava fuori dall’aula e ti bacchettava le dita con un matitone rosso e blu; ti faceva stare 15 minuti con le braccia alzate dietro la lavagna; o ti faceva inginocchiare sui chicchi di granturco. Io non ho mai avuto punizioni, ero il boss della classe. Facevo il capo e mettevo in atto un piccolo esercizio di potere. Come ha detto Paul Valéry, “il potere senza abuso perde tutto il suo fascino”. Mettevo tra i cattivi i ragazzi di terza, mai quelli di prima, per senso di appartenenza, quelli che mi avevano battuto a calcio, o quelli che tifavano Inter. Io non ho mai avuto punizioni. Ero tranquillo, al massimo schizzavo con l’inchiostro il grembiule di qualche compagna di classe. Ed ero generoso, aiutavo chi era in difficoltà. Quella scuola mi è rimasta nel cuore: ci ho insegnato, ci sono andati i miei tre figli. E ho pure una figlia maestra».

JACOPO FO regista
«Il primo giorno mi accompagnò mia madre. Io mi sentivo felice, ma l’entusiasmo durò poco. La maestra mi nominò capoclasse e fui subito odiato da tutti. In quegli anni, poi, la scuola era militarista: si punivano i ragazzi con bacchettate sulle mani, si usciva marciando e salutando il direttore. Mi sembrava terribile. Io all’inizio non riuscivo a distinguere la destra e la sinistra, e ricordo che me lo scrissi sulle mani. Ero disciplinato e anche un po’ privilegiato perché avevo genitori famosi. Un giorno mio padre mi scarabocchiò con i colori un disegno con casette perfette. Ci rimasi male. “Ma c’è il lampo a dare tutti questi colori”, spiegò. Lo dissi a scuola, ma la maestra non capì».

Michela Auriti, Maria Giuseppina Buonanno, Mauro Gaffuri (hanno collaborato Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi)