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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

L’AGNELLINO ADOTTIVO SCARICATO DALLA FAMIGLIA

Adesso alla famiglia non serve più, grazie e arrivederci. Ma anche la famiglia non esiste più: gli Agnelli sono finiti con Umberto, l’ultimo erede col cognome è Andrea, che si occupa di Juventus. La Fiat – e ora la Ferrari e la Chrysler – è John Elkann. E Sergio Marchionne, ovvio. Il mondo in cui è cresciuto Luca Cordero di Montezemolo non esiste più, ha cercato di preservarlo finché ha potuto (si fa anche chiamare “avvocato”, ma con la minuscola, perchè l’Avvocato era solo Gianni Agnelli), ma ora è finita.

Gli inizi tra rally e soldi sotto banco
La fortuna di Montezemolo è stata l’amicizia con Cristiano Rattazzi, uno dei figli di Urbano Rattazzi e Susanna Agnelli, sorella di Gianni. Con Cristiano corrono i rally, e il passaggio alle corse vere, della Ferrari, è un attimo. Uno così non poteva non piacere all’Avvocato, sono così affini che per decenni circolerà la leggenda (infondata ma verosimile) che vedeva in Luca un possibile figlio segreto. Di certo Montezemolo per Gianni e gli Agnelli non è soltanto un amico di famiglia. Lo si capisce nel 1982: Luca è a Torino, lavora alla Fiat, si occupa di editoria e relazioni esterne fino a quando l’amministratore delegato Cesare Romiti non lo caccia: “Fu da me licenziato in tronco, anche se formalmente risultò che si era dimesso volontariamente”. Lontano da Torino, in periferia, allo spumante Cinzano. La colpa? “Fu nel corso del 1978 che Maiocco mi invitò ad accettare da lui del denaro. Il discorso fu nel senso di una riconoscenza a me per quanto avevo fatto. Io rammento con precisione due versamenti: uno di cinquanta milioni di lire circa e un altro di trenta milioni di lire. Il primo fu sicuramente effettuato in contanti (la consegna avvenne in un libro vuoto, se ben ricordo, di Biagi), il secondo quasi certamente in contanti”, ammetterà anni dopo Montezemolo davanti a un magistrato. Gianfranco Maiocco era un faccendiere che nella Torino degli anni Ottanta distribuiva bustarelle. Non si è mai capito per cosa sia stato pagato Montezemolo, per organizzare incontri con Agnelli, si dice in città, per una consulenza relativa alla vendita di macchine utensili, dice lui. Montezemolo rinasce con l’organizzazione dei mondiali di Italia 90, si occupa (con risultati pessimi) di produzione cinematografica, poi torna in Ferrari, da capo. L’Avvocato lo blinda a Maranello anche quando le performance disastrose in pista gli stanno costando la poltrona.

La scommessa di Gabetti per fermare Morchio
Saltiamo al 2004, quando Montezemolo diventa il garante di tutto il sistema Agnelli, un mondo che sta crollando sotto il peso di una Fiat quasi fallita e di manager troppo intraprendenti. Gianni Agnelli è morto il 24 gennaio 2003, il regno di Umberto dura pochissimo, già a febbraio 2004 scopre di essere condannato dal cancro, convoca Gianluigi Gabetti, l’avvocato d’affari su cui si regge la catena societaria di comando del gruppo: “Mi chiese di occuparmi di tutto”, ha raccontato Gabetti. Che chiama Giuseppe Morchio, l’amministratore delegato della Fiat e gli annuncia che la situazione è critica. Il manager risponde: “Ma la Fiat è nelle mie mani, state tranquilli. Era ormai da tempo che Umberto non era più decisivo”. E si candida a fare lui il presidente, cioè a prendere la carica riservata alla famiglia, minacciando di andarsene in assenza della promozione.
Umberto muore e nel giorno del suo funerale, domenica 30 maggio 2004, al cimitero di Villar Perosa, si decide il destino del Lingotto. Nel ricordo di Gabetti le cose sono andate così: “Al termine della cerimonia un funzionario Fiat avvicinò me e Franzo Grande Stevens che era il segretario del consiglio Fiat, spiegando che Morchio chiedeva l’immediata convocazione del cda per il pomeriggio”. Tanta fretta era dovuta al fatto che il manager aveva appuntamento il giorno dopo in Banca d’Italia e voleva andarci “nel pieno dei suoi nuovi poteri”, cioè da presidente. Gabetti: “Allora io dissi a Grande Stevens: ‘Cazzo, ci sta fregando’. Ci mettemmo entrambi alle porte del cimitero e fermammo uno a uno i membri della accomandita costringendoli a rimanere a Torino. Ci fu una riunione rapida e io spiegai cosa stava accadendo e proposi il nome di Montezemolo, un presidente che ci garantiva le relazione giuste con politica e banche ma che poteva lasciare Morchio ai margini”. Gabetti già pensava a Sergio Marchionne, ma la priorità era la presidenza.
Il risultato è noto: Luca di Montezemolo diventa presidente , Morchio se ne va furente e Gabetti può lanciare Marchionne, allora quasi sconosciuto capo di una società di servizi svizzera controllata dalle holding degli Agnelli.
Montezemolo alla presidenza è un’illusione, un simulacro, serve a dare l’impressione che l’era degli Agnelli non sia finita. Ma ha anche un’utilità indiscutibile: il manager (manager? in tanti discutono che sia questa la definizione più adatta di lui) è anche presidente della Confindustria, l’ultimo che è riuscito a dare la linea alla politica invece di subirla, predica le virtù degli imprenditori contro i vizi della “casta” politica – sono gli anni in cui si scopre quella polemica – e grazie al suo doppio incarico trasmette l’impressione che le sorti dell’industria italiana e quelle della Fiat, e dunque della famiglia, siano sovrapposti.
Gabetti riesce a garantire agli Agnelli la presa sulla Fiat nonostante le banche creditrici abbiano diritto a prendere il controllo: le informazioni date al mercato sono false, la Consob sanziona, la giustizia penale prima condanna, poi annulla per prescrizione. E Sergio Marchionne, contro il parere di una grossa parte della famiglia, decide di puntare ancora sull’auto: rompe il matrimonio con General Motors la quale, per tenersi lontana da Torino, paga al Lingotto 2 miliardi di dollari. E con quei soldi l’azienda si salva dal crac e inizia la lenta ripresa (finanziaria,maidavveroindustriale) verso l’operazione Chrysler. Nel 2007 il trionfo della Cinquecento, a livello di immagine, è molto più di Montezemolo che di Marchionne.

L’ora dell’ingegnere, John Elkann
Nel 2010 tutto è cambiato: a 34 anni John Elkann è pronto a raccogliere l’eredità del nonno Gianni Agnelli, congeda Montezemolo e si prende la presidenza del gruppo. All’avvocato con la minuscola resta per pochi mesi una poltrona nel consiglio di Rcs, al Corriere della Sera, poi soltanto la Ferrari. Una soddisfazione non solo simbolica, visti gli stipendi da 5-6 milioni di euro all’anno, una paga forse unica al mondo per un presidente che si occupa di immagine, rappresentanza e relazioni ma non gestisce direttamente l’azienda. Ma anche le cose belle finiscono e a 67 anni Montezemolo può essere congedato il suo charme (nome anche di un fondo lussemburghese in perenne rosso) non serve più all’italoamericana Fiat-Chrysler. Questo è il tempo dell’Ingegnere, cioè John Elkann. Di avvocati a Torino non hanno più bisogno.
Stefano Feltri