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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

LA SPESA PER L’ISTRUZIONE SCENDE ANCORA

ROMA
Quanti passi deve fare la scuola italiana per avvicinarsi al lavoro? Ancora molti. Abbiamo una percentuale altissima di «Neet», giovani che non studiano e non hanno un impiego (dal 2008 al 2012 è addirittura aumentata di 5 punti, passando dal 19,2% al 24,6% - peggio di noi solo Spagna e Turchia). Gli abbandoni scolastici (nella fascia 15-19 anni) sono in lieve crescita; e sempre meno giovani si iscrivono all’università (essenzialmente perché scoraggiati dalle prospettive occupazionali).
Dall’altro lato della medaglia, siamo l’unico paese - tra i 34 considerati - che tra il 2010 e il 2011, ha ridotto la spesa pubblica per le istituzioni scolastiche. Ma siamo in linea con gli investimenti in education degli altri paesi nostri competitor e tra il 2003 e il 2012 siamo stati addirittura uno dei tre paesi (con Polonia e Portogallo) ad aver migliorato gli apprendimenti di base degli alunni (a testimonianza di come la vera sfida sia qualificare la nostra spesa in istruzione e non aumentarla indistintamente). Anche perché un (lento) recupero di efficienza è dimostrato da un aumento del numero di docenti per studenti (oggi il rapporto alunni/insegnanti è di 12 - in linea con la media Ocse di 14) e da un incremento, a parità di salario, del numero di ore di insegnamento. Ma ancora, purtroppo, senza merito, visto che le retribuzioni dei professori sono sostanzialmente piatte e prescindono da qualsiasi valutazione.
L’occasione per un confronto internazionale sullo stato dell’istruzione è fornito dal consueto rapporto annuale "Education at a Glance 2014" dell’Ocse, presentato ieri a Roma all’università «Luiss». Un ritratto con luci e ombre. Nonostante la riduzione degli iscritti all’università il livello di istruzione in Italia è complessivamente aumentato (è cresciuta la percentuale di laureati 25-34 anni, soprattutto tra le donne). Ma la percentuale dei senza diploma (28%) è la terza più alta, dopo Portogallo e Spagna, e resta molto al di sopra del 17,4% della media Ocse e il tasso dei laureati è il quart’ultimo tra i paesi presi in considerazione (34esimo su 37). È allarme rosso poi sui «Neet»: nel 2012 quasi un giovane su tre (31,5%) di 20-24 anni non studia e non lavora (+ 10% rispetto al 2008). In Austria e Germania ci si ferma all’11 per cento.
Segnali di miglioramento arrivano invece sulle differenze di genere: da noi il divario tra laureati maschi e femmine è inferiore rispetto ad altri paesi. Per esempio, il 40% delle nuove lauree in ingegneria è stato conseguito dalle donne (in Germania sono solo il 22%). È aumentata poi la percentuale di 15enni che ottengono risultati elevati in matematica. Ma i giovani laureati (25-34 anni) raggiungono appena il livello di competenze di lettura e matematica dei loro coetanei senza titolo di studio terziario in Finlandia, Giappone o Paesi Bassi.
Un ragionamento più approfondito lo meritano gli investimenti. L’Italia dedica a scuola e università una spesa totale pari al 5% del Pil (dati 2011), e ciò ci colloca al quint’ultimo posto della classifica stilata dall’Ocse (la spesa pubblica è diminuita, quella privata è aumentata). Ma si è ridotto il numero di docenti (per via dei tagli agli organici): e ciò dimostra «come la qualità dell’istruzione non dipenda dal numero di insegnanti, ma dalla loro preparazione, dal loro impegno, e da una gestione del personale che motiva i migliori docenti», ha detto Francesco Avvisati, ricercatore Ocse, autore della nota sull’Italia. Gli fa eco Attilio Oliva, presidente dell’Associazione Treellle, spiegando che «è ben noto che le risorse da sole non modificano sostanzialmente l’apprendimento e che non c’è quindi correlazione tra numero di insegnanti e performance degli studenti».
Il problema è anche il mismatch all’università visto che gli atenei sfornano «laureati in proporzioni sbagliate per il mercato del lavoro», come ha ricordato al Guardian il rettore della Luiss, Massimo Egidi. Ma il governo cosa intende fare? Per collegare di più (e meglio) istruzione e imprese «rafforzeremo i percorsi di alternanza e potenzieremo le competenze degli studenti», ha risposto il ministro Stefania Giannini. E sugli insegnanti? «Aboliremo il precariato - ha aggiunto il ministro - e immetteremo in ruolo professori che hanno in media 40 anni». Ma nelle linee guida sulla scuola si parla anche di decollo del sistema di valutazione, di autonomia nella scelta dei docenti e di incrementi stipendiali legati al merito (e non più all’anzianità). E anche da qui passa il miglioramento della nostra scuola.
Alessia Tripodi e Claudio Tucci, Il Sole 24 Ore 10/9/2014