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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

PER UN EURO FEDERALE COME IL DOLLARO

Vi sono questioni di scienza economica che ancora oggi suscitano accese controversie pur risalendo a contrasti teorici del secolo scorso. I protagonisti di allora erano John Maynard Keynes e Friedrich von Hayek. Il primo era il ben noto autore della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta divenuta poi la bibbia della scuola che considera indispensabile l’intervento dei governi e dello stato nelle attività di mercato per garantire il loro corretto funzionamento a vantaggio della collettività. Il secondo era il meno noto autore di un saggio intitolato La via della schiavitù in cui manifestava un opposto giudizio dell’intervento economico pubblico. Nel senso cioè che quell’intervento poteva introdurre pericolosi elementi autoritari in una sfera di attività in cui doveva invece svolgersi in piena libertà l’iniziativa privata. Nell’ormai lontano passato sia del primo che del secondo dopoguerra quelle contrastanti concezioni in merito all’intervento pubblico nell’economia avevano suscitato accesi dibattiti influenzando anche opposti indirizzi politici come nel caso dei presidenti americani Roosevelt e Bush.
Oggi le politiche economiche degli Stati Uniti e dei principali paesi dell’Unione europea appaiono generalmente assai più keynesiane che hayekiane. E tuttavia si possono ancora cogliere nella attuale discussione sulle misure da adottare per superare in Europa sia la recessione che la minaccia di una vera e propria deflazione gli echi di quel vecchio dibattito ma con un nuovo sottofondo di ansie conservatrici che francamente appaiono eccessive. Come quelle per esempio manifestate in questi giorni dall’intervento del presidente della Bundesbank Jens Weidman in opposizione alle misure adottate dalla Bce guidata da Mario Draghi per ridare fiato alla stagnante economia europea. Quelle di Draghi sono chiaramente misure keynesiane perché improntate allo spirito di un deciso intervento pubblico per rianimare il settore privato. E quindi sono all’opposto chiaramente ispirate a von Hayek le ansiose riserve del presidente della Buba che magari teme che l’intervento della Banca centrale europea dia l’avvio a decisioni lesive della libera iniziativa. O addirittura, per dirla con von Hayek, sia il sintomo di un pericoloso avviamento di un regime di servaggio economico! Ma oggi il banchiere tedesco e i suoi seguaci non hanno motivo di essere in ansia perché Draghi è persona talmente seria e di comprovata esperienza che anche i conservatori possono stare tranquilli. Dato che l’intera eurozona, Germania compresa, è attualmente in recessione non dovrebbe essere molto difficile convincerli che sarebbe utile per tutti seguire qualche consiglio del vecchio saggio Keynes. La Merkel ha ribadito a più riprese che tocca ai governi nazionali il compito di fare le riforme e respinge ogni tentativo di ridiscutere i parametri di Maastricht e del Fiscal Compact. L’intera stampa tedesca ironizza in merito alle posizioni di italiani e francesi che ritengono invece che entrambi quei pretesi baluardi del liberismo se applicati per di più con il preteso “rigore” possono rivelarsi delle vere e proprie armi di disoccupazione di massa. A questo punto potrebbe venire in mente a qualcuno che il rimedio sia suggerire alla Germania di uscire dall’euro per far compagnia al più saggio Regno Unito della Regina Elisabetta. Francamente questo significherebbe procedere come i granchi perché invece di guardare avanti e lavorare per una Europa che cessi di essere ancora non molto di più di una espressione geografica nell’attuale economia-mondo globale, bisognerebbe fare dell’euro una moneta non solo unica ma federale come il dollaro. E dunque costruire una vera grande bundes valuta sorretta da una disciplina comune a tutta l’eurozona, ossia a tutti i diciotto paesi che ne fanno parte. Una valuta che dovrebbe allora avere come base una comune politica economica e fiscale, cioè un comune governo che ne regoli gli obbiettivi.
Altro che l’attuale groviglio di istituzioni che sono il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione formato dai capi di stato e di governo e infine la Commissione europea che propone gli atti legislativi che il Parlamento e il Consiglio devono adottare. In proposito sarebbe interessante scoprire con un sondaggio la quota percentuale dei 333 milioni di cittadini dell’Unione che quando deve votare per il suo Parlamento lo fa consapevole di tutte queste sue istituzioni. Il sondaggio rivelerebbe magari anche le ragioni di un tasso di votanti parecchio disuguale essendo stato in questo 2014 in media del 43% ma pari al 90% in Belgio, al 59% in Italia, al 20% in Slovenia. Questa marcata disuguaglianza nella partecipazione al voto è significativa della profonda divergenza tuttora esistente nel sentimento di appartenenza alla Ue dei cittadini del nordeuropa rispetto a quelli del centro e del sud.
Guido Carandini, la Repubblica 10/9/2014