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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

COMMERCIO CONDANNATO A MORTE

Hanno abbassato le saracinesche in piena estate, ma non per andare in ferie: Roma ha perso ad agosto altri 500 piccoli negozi, resteranno chiusi in attesa di una ricollocazione sul mercato. Si tratta per la maggior parte di piccole attività del settore abbigliamento, che non sono riuscite a far fronte al calo dei consumi, al caro affitti, alla concorrenza delle attività abusive. Ma anche di alimentari, tintorie, frutterie, e addirittura bar e ristoranti, che fino ad oggi avevano meglio assorbito l’urto della crisi. Insieme a loro, nei primi sette mesi dell’anno, vale a dire da gennaio a luglio 2014, hanno capitolato ben 1333 imprese commerciali. Sono dati drammatici quelli in possesso della Confesercenti di Roma e forniti in esclusiva a Il Tempo. L’associazione di categoria ha analizzato l’andamento della natalità e mortalità degli esercizi commerciali della Capitale e ha fatto un confronto tra le imprese nate e quelle cessate negli ultimi quattro anni, con risultati prevedibili vista la crisi in atto ma che, a leggere i numeri, disegnano un quadro quasi disperato della situazione. A nulla è valso l’effetto annuncio degli 80 euro di Renzi né tantomeno quello poi concreto della loro messa in busta paga. Semmai arriverà un rilancio di consumi troverà un deserto. A luglio si è toccata la punta massima di mortalità degli ultimi sette mesi con 143 aziende che hanno abbassato le saracinesche, ad agosto un altro duro colpo al settore, con altre 500 piccole imprese che dopo aver liquidato tutta la merce hanno spento luci e insegne. «Di questo passo su intere vie commerciali i negozi al dettaglio sono destinati a scomparire», tuona Valter Giammaria, presidente della Confesercenti Roma.

NEL RESTO D’ITALIA
Roma e il Lazio non sono casi isolati. A livello nazionale i numeri raccontano un’ecatombe, la crisi ha accorciato la vita delle imprese: una su quattro dura meno di tre anni, dal 2010 ad oggi è andato in fumo un capitale di investimenti di quasi tre miliardi di euro con la chiusura di oltre il 40% di attività. Le cessazioni di impresa lo scorso anno sono state 46.061 mentre da gennaio ad agosto di quest’anno sono già 25.760 le aziende chiuse. Per un totale di 71.821 imprese. Una crisi diffusa omogeneamente su tutto il territorio nazionale. Basta ancora una volta guardare i dati aggiornati a giugno scorso. In Lombardia e Piemonte hanno cessato di esistere poco meno della metà delle imprese nate nel 2010, rispettivamente il 43,5% e il 45,4%, mentre nel Lazio ha chiuso il 36,2% . La situazione non migliora al sud. Campania, Sicilia, Sardegna registrano tassi di chiusura del 40% nell’ultimo quadriennio, tristemente allineate alle altre regioni.

COLLASSO CAPITALE
I negozi chiusi con sempre maggiore difficoltà riescono a riposizionarsi sul mercato. La Confesercenti ha calcolato che ci sono almeno 10 mila immobili commerciali sfitti nella Capitale che di media restano tali per sei, otto mesi nelle vie dello shopping, uno o due anni in quelle più periferiche. Non solo. La vita media di un negozio che apre oggi si è notevolmente accorciata ed è passata dai sei, otto anni nel 2003, ai dodici mesi di oggi. Quando i negozi riescono a riaprire, poi, molto spesso cambiano genere di attività, da abbigliamento passano a oggettistica per la casa, da alimentari ad arredo e così via. In questo modo si cerca di restare in vita anche se non sempre ci si riesce.

CARO AFFITTI
A fronte di tutto ciò gli affitti richiesti ai negozianti non si abbassano se non di pochissimo, fatto che determina la mancata ricollocazione di migliaia di esercizi sul mercato. Per un negozio in centro storico di media metratura di una grande città si continuano a chiedere anche più di 10 mila euro al mese. È fin troppo facile comprendere come tutto questo pesi a livello economico e occupazionale sul territorio. Invertire la rotta si può? Le associazioni di categoria hanno chiaro già da diverso tempo che tra i principali responsabili di questa moria delle attività commerciali c’è il dilagante abusivismo, ma non sono per niente sicure che da parte delle istituzioni ci sia la reale intenzione di fare qualcosa.

L’ABUSIVISMO
Nonostante blitz, sequestri e sanzioni siano all’ordine del giorno, il giro d’affari della contraffazione ha raggiunto cifre impressionati e soltanto nella Capitale supera i 2 miliardi di euro. Le prospettive, poi, sono tutt’altro che rosee. Se lo scenario non dovesse cambiare Roma potrebbe perdere, entro fine anno, tre mila imprese.
Damiana Verucci