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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

LONDRA, PRESSING SULLA REGINA «PARLI PER FERMARE LA SCOZIA»


DAL NOSTRO INVIATO LONDRA — Prima hanno mandato avanti il «pensionato» Gordon Brown con l’ultima «carota» dell’autogoverno, adesso partono pure loro perché gli tocca: il premier conservatore David Cameron (più il suo vice lib-dem Nick Clegg) e il leader dell’opposizione laburista Ed Miliband vanno in Scozia per cercare di frenare l’avanzata indipendentista in vista del referendum del 18 settembre.
Nuovi sondaggi confermano lo choc di domenica: il fronte del sì ha recuperato in un mese 22 punti. I numeri dicono sostanziale parità, anche se a nove giorni dal voto gli indipendentisti sembrano avere «il momento» dalla propria parte. Il leader autonomista Alex Salmond ostenta tranquillità e dice che la campagna del no è «nel panico più assoluto». Un segnale? Dal partito conservatore, secondo la stampa britannica, si fanno pressioni perché il premier chieda alla Regina di intervenire con un discorso per richiamare la nazione all’unità, come ha già fatto nel lontano 1977, approfittando del suo Giubileo d’Argento, quando Galles e Scozia scalpitavano. «È possibile, ma improbabile, che Cameron chieda a Sua Maestà» una cosa simile, scrive sul Telegraph il decano dei politologi Vernon Bogdanor, poiché «il leitmotiv del suo regno è sempre stata la determinazione a restare fuori dalle controversie politiche». In più, «se passasse l’indipendenza, la Scozia si propone di restare monarchica e la Regina non vorrebbe dispiacere i governanti del suo nuovo regno». Dunque Elisabetta, pur inorridita dalla prospettiva di una separazione, «soffrirà in silenzio» aspettando i risultati del voto che, secondo il professore emerito del King’s College, vede ancora favorito il no.
Non resterà invece in silenzio, in caso di vittoria dei sì, il resto della Gran Bretagna. La sconfitta farebbe scricchiolare sia Cameron che Miliband (i laburisti sono il secondo partito in Scozia e proprio le defezioni al loro interno stanno penalizzando il fronte del no) aprendo una stagione di instabilità ed elezioni a catena. A guadagnarci, prevede Bogdanor, sarebbero i nazionalisti dell’Ukip. E in questo scenario Londra mostrerà la faccia meno amica, rendendo la vita difficile alla Scozia nei negoziati per il divorzio consensuale proprio quando si tratterà di discutere delicate questioni come la moneta e le frontiere. Lo stesso Miliband ha parlato nei giorni scorsi della necessità di controllo dei confini, una «provocazione» bollata come «spazzatura» dagli indipendentisti a Edimburgo che guardano al modello delle frontiere «invisibili» tra Paesi dell’Unione Europea.
Se Miliband ha qualche problema di immagine oltre il fiume Tweed, storica linea di demarcazione tra Scozia e Inghilterra, Cameron nelle Highlands «è meno popolare di Windows 8» come nota beffardo l’umorista Charlie Brooker sul Guardian . Non è un caso che i leader dei due principali partiti di Westminster abbiano lasciato il campo all’ex premier laburista Gordon Brown, che ormai raramente si mostra in Parlamento, per annunciare l’ultima concessione in materia di bilancio e welfare che Londra è disposta a fare perché la Scozia resti nell’attuale Unione che resiste da 307 anni. Il piano Brown prevede un iter rapido che porti alla definizione di un nuovo Scotland Act entro il prossimo gennaio, con un’ulteriore passaggio di poteri da Londra a Edimburgo (compreso quello di tenere di fatto a nord del Tweed le tasse raccolte).
Su queste aperture ieri è arrivata la gelata di Mark Carney, il governatore della Banca d’Inghilterra: parlando al Congresso dei sindacati a Liverpool, Carney ha detto che «un’unione monetaria tra una Scozia indipendente e il resto del Regno Unito sarebbe incompatibile con la sovranità». Senza accordi stringenti per esempio sui limiti al deficit di spesa pubblica o sul salvataggio delle banche, «un’unione monetaria sarebbe impraticabile». In altri termini, «per mantenere la sterlina gli scozzesi dovrebbero cedere a Londra una buona fetta della loro sovranità». Questo contrasta con il mantra dei separatisti: Londra sarà costretta a lasciare la sterlina a una Scozia indipendente. Probabile che il tema della moneta sarà dibattuto al calor bianco questa sera, in occasione dell’ultimo dibattito televisivo tra Alex Salmond e l’ex ministro delle Finanze Alistair Darling, guida della campagna per il no «Better Together».
Meglio separati, si son detti Cameron e Miliband: i due leader non saranno insieme oggi durante il «no vote trip» in Scozia. Una missione lampo, per non irritare troppo gli indecisi. «Vogliamo ascoltare gli elettori», hanno scritto in un messaggio congiunto. Forse avrebbero dovuto farlo prima.