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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

LA VERITÀ (INGANNEVOLE) DI UN PIL CHE CAMBIA


Nel marzo 1968, Robert Kennedy, in quel momento candidato alla presidenza degli Stati Uniti, in un famoso discorso notò che il calcolo del Prodotto nazionale lordo comprendeva le testate nucleari, il napalm impiegato in Vietnam, le spese per le prigioni e altre cose più o meno orribili; ma non considerava la bellezza della poesia e la forza dei legami matrimoniali. C’era parecchia retorica in quelle parole. Quel discorso, però, torna alla mente alla luce della rivalutazione del Pil annunciata ieri dall’Istat.
Torna alla mente e ricorda che il Pil è importante ma non è tutto. Sarebbe dunque una buona idea approfittare dell’introduzione nella contabilità nazionale di certe attività criminali, della prostituzione e degli investimenti per ricerca e sviluppo — cioè di quel che ha fatto ieri l’Istat — per rimettere al suo posto quello spettro con le catene, il Pil appunto, che da un po’ di anni ha preso posto nel salotto degli italiani (e non solo nel loro, naturalmente).
Sembra diventato un vitello d’oro, dal quale dipende il nostro benessere. Ma non c’è niente da adorare: ora è fatto anche di cocaina e di contrabbando. Non è un fine: è uno strumento statistico, senza meriti e senza colpe, senza idee e senza morale, con il quale misurare le attività volontarie che si svolgono in un Paese. E neanche troppo preciso, a dire il vero. Sarebbe meglio considerarlo un numero utile per fare confronti internazionali (se tutti usano gli stessi criteri).
Il Pil non misura infatti il mondo: quello che vi succede, la sua poesia e le emozioni dei matrimoni, non ci finiranno mai dentro. Non misurerà mai la felicità, come d’altra parte nessun’altra statistica riuscirà a fare. Misurerà le differenze tra noi e la Germania, i cambiamenti tra una società che prende atto della prostituzione e della marijuana e una che non ne voleva sentire parlare, potrà persino suggerire quanto vuole essere moderno, o quanto poco nel caso dell’Italia, un Paese che investe o non investe in ricerca e innovazione. Ma sarà sempre un numero più piccolo della realtà. Fino alla Grande Depressione degli anni Trenta, il Pil non esisteva. Oggi rischia di diventare un feticcio, o un’ossessione.
Non facciamone un gran caso, o uno scandalo, dunque, della decisione dell’Istat: si adegua al mondo, ci aiuterà ad abbassare di qualche decimo di punto il peso del debito nazionale ma, per il resto, non cambierà l’Italia. Forse aiuta a dare disciplina. Le rivoluzioni, però, non le fanno gli statistici — ci ricordava Robert Kennedy.