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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

«È QUESTO IL PRIMO MESSAGGIO DEI NENADERTHAL»

E’ il loro primo messaggio. Di 40 mila anni fa, o quasi. Finora avevano disseminato tanti indizi, dai pigmenti con cui si dipingevano alle penne di rapaci con cui si decoravano. E non erano mancati utensili, armi e perfino un flauto. Ma mai prima d’ora i Neanderthal, i nostri più diretti concorrenti per il dominio dell’Europa e dell’Asia, avevano lasciato una testimonianza tanto esplicita della loro intelligenza. Non tanto diversa, forse, da quella dei Sapiens.
Il messaggio consiste in una dozzina di linee che si intersecano. Incise su una superficie pressoché piatta di 300 centimetri quadrati, sono state scoperte nella grotta di Gorham, a Gibilterra, estrema propaggine d’Europa e considerata da molti studiosi come uno degli ultimi avamposti dei Neanderthal, alla vigilia della loro ancora misteriosa estinzione, circa 39 mila anni fa.
Francesco d’Errico, paleoantropologo di origini torinesi e direttore di ricerca al Cnrs, il Centre National de la Recherche Scientifique di Bordeaux, è lo specialista che ha indagato questo messaggio di 400 secoli fa, riportato alla luce nel 2012 da Clive Finlayson. Ed è uno degli autori dell’articolo su «Pnas», dove si racconta non solo l’eccezionalità del ritrovamento, ma si evidenzia il punto essenziale: l’intenzionalità di quelle tracce. Non si tratta di uno scherzo della natura, ma - spiega d’Errico con un gruppo di colleghi spagnoli e inglesi - di uno straordinario esempio di espressione grafica, uno dei più antichi del Vecchio Continente.
Professore, come siete arrivati alla certezza della «firma» neanderthaliana?
«Questo, in effetti, è il primo caso di incisione su un supporto roccioso, ricoperta da uno strato archeologico musteriano, ricco di strumenti prodotti dai Neandertaliani. Ma non è la prima prova di comportamenti simbolici associati a queste popolazioni: seppellivano i loro morti, usavano pigmenti e producevano incisioni in serie su ossa. Finora, però, non si conoscevano espressioni grafiche prodotte per marcare lo spazio abitativo».
Come si è conservata?
«I livelli archeologici l’hanno protetta. E si è conservata anche grazie a una micro-crosta, prodotta dall’alterazione dei livelli stessi, attraversati da materia organica, colata a partire da accumuli di sterco di pipistrello. Questa patina scura, composta di ferro e di manganese, ha protetto le tracce del passaggio dello strumento usato dall’artista».
E che cosa avete dedotto?
«Che le linee sono state realizzate dall’uomo, non dalla natura. Riproducendo sperimentalmente i tratti, abbiamo mostrato che non sono il risultato di azioni utilitarie come tagliare la pelle o la carne. Si tratta di incisioni prodotte da una punta, probabilmente in microquarzite o in selce, e non da un tagliente. La punta è partita per produrre un tratto sempre dalla stessa estremità e il tratto è stato ripassato numerose volte».
Quante volte?
«Tra 200 e 300 passaggi per produrre la composizione. L’uso di altre tecniche, come quella di un movimento di va e vieni, produce invece tratti irregolari, poco profondi, con estremità sfrangiate. La tecnica scelta aveva lo scopo di produrre incisioni profonde e ben visibili in questa zona della grotta».
Come avete condotto l’esperimento?
«Con sette strumenti, confrontando i risultati con l’analisi dell’originale, studiato senza toccarlo: siamo ricorsi a una quarantina di foto e a un software per la fotogrammetria che ha permesso di ottenere una ricostruzione virtuale, scaricabile dal Web. E’ la prima volta che metodi di questo tipo sono applicati a una così piccola incisione in grotta. Stiamo ora realizzando il modello 3D su una stampante ad alta risoluzione».
Come descrive la «traccia»?
«Una dozzina di incisioni nella dolomia che si incrociano quasi perpendicolarmente. Visti i passaggi, l’autore ha assunto posture diverse per adeguare la posizione del corpo a quella della direzione delle incisioni. Se ne deduce che era ben consapevole di quanto faceva».
E a questo punto c’è l’aspetto più emozionante: di sicuro vi siete chiesti quale potrebbe essere il significato.
«Difficile dirlo, ma la scelta degli strumenti e della tecnica, nonché lo sforzo e il tempo necessario, dimostrano che chi ha tracciato le linee aveva un progetto. Non si tratta di ciò che è chiamato “doodleing”, un disegno effettuato in maniera quasi inconscia».
Quanto tempo è stato necessario?
«Un’ora, un’ora e mezza, probabilmente con interruzioni e cambi di strumento per evitare dolori e ferite alla mano».
L’epoca è intorno a 40 mila anni fa, giusto?
«Sì, considerando che la data più antica del livello musteriano soprastante è 39 mila anni e che l’incisione sembra ben conservata e non essere stata esposta a lungo prima di essere coperta dal livello archeologico».