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 2014  settembre 10 Mercoledì calendario

«HO UCCISO IO LE SUORE, OCCUPAVANO LA MIA PROPRIETA’»

Saranno tanti stamattina ad attraversare le strade poverissime di Bujumbura per andare a salutare un’ultima volta Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian, le suore ferocemente uccise domenica sera nel convento di Kamenge. La polizia burundese rende omaggio al loro sacrificio annunciando l’arresto del presunto assassino, Christian Claude Butoyi, 33 anni, che avrebbe confessato di aver agito da solo. Ma difficilmente oggi qualcuno troverà conforto nel sapere potenzialmente risolto un omicidio dai contorni inspiegabili.
«Il sospetto è nelle nostre mani e ha confessato» annuncia il colonnello Helmegilde Harimenshi poco dopo la conferma da parte dei suoi uomini del triplice stupro inizialmente negato dall’ordine saveriano. La violenza sui corpi delle tre donne - 83, 75 e 79 anni - aveva inizialmente indotto gli investigatori a ipotizzare una vendetta e a ricercare possibili passati malumori tra i dipendenti della parrocchia San Guido Conforti, a cui è collegato il convento delle saveriane.
Il killer, trovato in possesso della chiave del convento e del telefono cellulare di una delle vittime, abita vicino. Secondo alcune fonti avrebbe dichiarato di aver ucciso le tre religiose «perché dopo aver fatto alcune indagini ho scoperto che il convento era stato costruito su un terreno dei miei genitori». La polizia ha annunciato che l’uomo, con ogni probabilità, verrà sottoposto a una perizia psichiatrica.
Il movente sembra assurdo. «Non so darmi una spiegazione, da queste parti ci vogliono tutti bene, non so immaginare la radice di tanto odio» ripete al telefono da Juba, Sud Sudan, la missionaria comboniana Anna Gastaldella.
Per quanto le autorità paiano indirizzate sulla pista del gesto isolato di un folle o di un criminale, gli interrogativi restano numerosi. Nel caso di altri religiosi cristiani assassinati nel mondo, come don Santoro e monsignor Padovese in Turchia, la chiusura dell’inchiesta con l’arresto di uno squilibrato si è sempre portata dietro il sospetto di una certa malcelata omertà sulla violenza confessionale di matrice islamista. Ma il Burundi è un paese a maggioranza cristiana (90%), dove sebbene la festa musulmana dell’Eid ul Fitr sia riconosciuta nel calendario nazionale la Costituzione stabilisce la laicità dello Stato. La terribile guerra civile che nel 1993 ha messo ancora più a terra una popolazione per l’80% condannata al di sotto della soglia di povertà affonda le sue radici nella contrapposizione tra le etnie Hutu (maggioranza) e Tutsi (minoranza), nessuna ambizione jihadista, nessun sogno di grande Califfato, nessuna ancestrale storia di occhio per occhio come nella cieca contrapposizione tra cristiani e musulmani della Repubblica Centrafricana.
Di fatto però la morte delle suore racconta un accanimento e un odio al di là della semplice criminalità. Tanta barbara foga solo per un cellulare (niente altro risulta essere rubato)? Un vero raptus? Un’incognita, nonostante l’estrema miseria del paese. L’ha sottolineato chiunque abbia rivolto un pensiero o una preghiera alle vittime, dal Papa al ministro degli esteri Mogherini fino alle centinaia di migliaia di africani che negli ultimi decenni hanno incrociato le loro vite a quelle delle tre suore in Burundi o in Congo, dove saranno sepolte nel cimitero saveriano di Panzi, a Bukavu, capoluogo del Kivu Sud.