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 2014  settembre 09 Martedì calendario

BARCELLONA GUARDA EDIMBURGO: «VINCETE, POI TOCCHERÀ A NOI»

«Non ho bisogno di essere nato a Edimburgo per augurarmi l’indipendenza scozzese, mi basta essere catalano ed europeo» ripete da settimane il presidente della Generalitat de Catalunya Artur Mas.
Visto da Barcellona il referendum che terrorizza la Gran Bretagna è una finestra aperta sul futuro: Mas e parecchi suoi connazionali sperano che una vittoria dei separatisti persuada Bruxelles a considerare con maggior benevolenza tutti gli irrequieti del vecchio continente, i tanti movimenti indipendentisti insofferenti come Salmond alla propria madrepatria ma affezionati alla Ue. L’eventuale strappo della Scozia innescherà davvero l’effetto domino in Catalogna, nelle Fiandre, in Slesia o nei Paesi Baschi? Analisti e studiosi sono scettici.
«È un abbaglio collettivo, la secessione e l’Ue sono inconciliabili, in Europa ci sono 271 regioni catalogate come la Catalogna Nut2» ragiona Brunet Ferran, docente di integrazione europea all’Università Autonoma di Barcellona. Eppure quei ragazzi spagnoli come il 22enne Diego partiti alla volta della Aberdeen di Annie Lennox per «prendere appunti e preparami al nostro referendum il 9 novembre» suggeriscono che, sebbene Madrid continui a negar loro il voto, sarà difficile ignorare l’esito del 18 settembre. Ad accomunare i mille secessionisti d’Europa c’è in realtà poco più dell’ambizione centrifuga. Ma tant’è. La Catalogna rivendica l’autonomia fiscale dalla Madrid a cui versa l’8% del Pil, ma va anche fiera della propria tradizione progressista, libertaria, anticlericale e multietnica che la distanzia dalla Lega Nord e dalle avventure referendarie venete. Anche la Slesia fa leva sull’economia fiorente per dissociarsi dalla Polonia in nome di un federalismo che ne tuteli lingua e cultura intrecciate con le vicine Germania e Repubblica Ceca: ma anziché votarsi all’euro, mai messo in discussione a Barcellona, si tiene ben stretto il rassicurante zloty nazionale.
I Paesi Baschi hanno una storia tutta loro, raccontata in un idioma estraneo a quelli indoeuropei occidentali, che però la macchia del terrorismo ha lungamente condannato a un’emarginazione politica condivisa con gli indipendentisti dell’Irlanda del Nord e con i militanti del Fronte di Liberazione Corso (Flnc), irriducibili fin quando tre mesi fa la crisi di vocazioni non li ha persuasi all’addio alle armi. Le Fiandre, infine. Sebbene considerato un «nazionalismo tranquillo», nel senso di meno incline all’estremismo che caratterizza altri partiti autonomisti, anche quello propagandato dalla Nuova alleanza fiamminga conta di accodarsi all’eventuale successo scozzese per tirare una netta linea di demarcazione con il resto del Belgio. Provocazione o seria proposta politica, la richiesta d’indipendenza che si leva da più parti d’Europa sposterà l’attenzione di Bruxelles sull’asse centralizzazione-decentralizzazione, una dicotomia assai più contemporanea di quella destra-sinistra. Se le statistiche europee del Pil pro capite vedono ai primi 13 posti tutti Stati «piccoli» vuol dire che se ne parlerà a lungo. Dentro e fuori l’Ue, dove, secondo il quotidiano «Neue Zürcher Zeitung», il partito popolare Svp inizia a vagheggiare l’idea d’una Grande Svizzera che federi a sé i Paesi con il medesimo pedigree economico-fiscale, dal Sud Tirolo alla Lombardia.
Francesca Paci, La Stampa 9/9/2014