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 2014  settembre 09 Martedì calendario

SCOZIA, LONDRA PROMETTE PIÙ AUTONOMIA

[2 articoli] –
LONDRA.
«Abbiate paura, molta paura». Il commento attribuito a Deutsche Bank, da Reuters, è il più rotondo per riassumere la raffica di terrificanti messaggi che gli uffici studi delle maggiori banche del mondo hanno diffuso ieri sull’onda di una minaccia che i sondaggi dicono farsi realtà. Il 51% degli scozzesi il 18 settembre voterà per la secessione, staccando un terzo del territorio britannico da tre secoli di storia per librarlo nell’incertezza dell’indipendenza. Lo ha detto YouGov, affidabilissimo istituto di statistica britannico, e tanto è bastato per scatenare le vendite. La sterlina è scesa al minimo degli ultimi dieci mesi contro il dollaro, lasciando l’1,3% in poche ore per fermarsi a quota 1,6118. Analoga la svalutazione sull’euro con il fixing, tornato a 1,245. Negli stessi minuti il Ftse entrava in negativo trascinato anche dalla caduta di Lloyds (controlla Bank of Scotland) Royal Bank of Scotland, Standard Life, Aberdeen asset management, in calo fra il 3,3 e l’1,5% per il timore delle conseguenze su gruppi "scozzesi" - in realtà lo sono relativamente - di un distacco da Londra.
Dopo mesi di tranquillo navigare nell’incosciente convinzione che il "No" avrebbe stravinto, è bastato un sondaggio a suonare la sveglia, costringendo il fronte unionista "Better Together", composto dai tutti i partiti tradizionali, a immaginare piani alternativi. Il primo è stato il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne che con una scomposta replica al sondaggio ha annunciato l’arrivo «a giorni di un piano d’azione per garantire più poteri alla Scozia».
In altre parole la cosidetta "Devomax", l’estrema autonomia che dovrebbe garantire potere fiscale quasi totale, ancor più ampia capacità di spesa - sanità e pubblica istruzione sono in larga misura gestiti da Edimburgo - nuovi spazi sul welfare. Una reazione che è stata poi corretta per rintuzzare alle accuse del leader nazionalista Alex Salmond, secco nel denunciare "le bustarelle" di Londra per comperare un consenso in fuga. Alistair Darling, ex cancelliere laburista e scozzese da generazioni, ha precisato che non ci saranno nuove concessioni, ma che sarà semplicemente illustrata nel dettagli l’intesa trasversale raggiunta mesi fa da Labour, Tory e LibDem per approfondire la devolution scozzese oggi esistente. L’ex premier laburista Gordon Brown, alla fine di una giornata campale ha mosso un passo in più con la definizione di un timetable preciso e condiviso dagli altri partiti unionisti per uno Scotland Act destinato a trasformare nel 2015 gli impegni di maggiore autonomia in legge.
Non è un caso che il Labour sia più esposto del partito di governo nella battaglia per Edimburgo. Se la Scozia si stacca dal Regno, i laburisti rischiano opposizione eterna a Westminster. I conservatori infatti eleggono un solo deputato oltre il Vallo, una forza inesistente per via delle politiche thatcheriane degli anni Ottanta. A cominiciare, trentacinque anni fa, dalla promessa mai mantenuta di dar vita a un parlamento a Edimburgo: nacque solo nel 1997 per volontà del governo di Tony Blair.
Il sondaggio YouGov - è il primo che segnala un’inversione di tendenza, altri organizzati contemporaneamente continuano a dare in testa il "No" - ha fatto impennare lo stato di alta tensione. Sbandano le forze unioniste, s’allarmano gli investitori. Kevin Daly di Goldman Sachs ritiene che la secessione sia l’ipotesi ancor meno probabile, ma immagina «conseguenze fortemente negative» in caso di "Sì" .
Fra le preoccupazioni maggiori gli analisti indicano una dinamica eccentrica ai danni delle banche con i depositi trasferiti a sud del Vallo per timore della secessione mentre le esposizioni resteranno a nord. Il punto chiave è ovviamente il destino della valuta. I nazionalisti giurano che l’unione monetaria sarà possibile, i partiti di Westminster volgono il pollice a terra. Resta la carta più forte per Londra: gli scozzesi non vogliono rinunciare alla sterlina terrorizzati come sono da quanto è accaduto nell’eurozona. Da oggi al 18 settembre la partita per muovere frazioni di voti, essenziali per la vittoria, si giocherà sul pound.
Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 9/9/2014

ECONOMIA ED EFFETTO DOMINO: TUTTI I RISCHI DEL «SÌ» –
La scossa di ieri è il primo deciso avvertimento, prologo impalpabile a quanto si prepara. Le conseguenze di un "sì" all’indipendenza della Scozia nel referendum del 18 settembre saranno violentissime sul breve periodo, storiche sul lungo. Prima toccherà ai mercati pagare il prezzo del nazionalismo di Edimburgo, poi al ruolo di quel che resterà del Regno Unito nel consesso mondiale. Gli scenari di un morbido addio, attutito dall’unione monetaria fra i due Stati nel segno della sterlina, dall’apertura dei confini lungo la linea del Vallo e dalla super-special relationship che forse nascerà, non sono ancorati ad alcuna certezza. Idee, ipotesi, sogni probabilmente. La realtà rischia di produrre un brusco risveglio per chi vagheggia di diventare come il Canada «ma - per usare le parole di Paul Krugman - avrà un futuro da Spagna senza sole». Molta pioggia, certamente. La Scozia, in realtà, sarà - in caso di vittoria del "sì" - un Paese relativamente florido, assiso sul tesoretto del Mare del Nord e poco altro se è vero che l’industria finanziaria emigrerà a sud verso il magnete-Londra. Abbastanza comunque per collocarla al quattordicesimo posto della classifica Ocse della ricchezza pro-capite che sarà - secondo la propaganda dei nazionalisti - 2.300 sterline più alta di quella del resto del Regno. Se sventolare la croce di Sant’Andrea, vessillo di uno stato indipendente, sarà solo un decente affare o invece un ottimo affare dipenderà prima di tutto dalla capacità di convertire un’economia legata a riserve petrolifere in declino e all’esito di negoziati quantomai incerti sulla moneta (pound sì, come vogliono i nazionalisti, pound no, come minaccia Londra) e sulla quota di debito nazionale a carico di Edimburgo.
Per chi sarà un pessimo affare è certamente il resto del Regno. Un terzo del territorio se ne andrà insieme con un decimo della popolazione e una fetta importante di export legato all’industria degli idrocarburi. Non basterà, per lenire tante ferite, accontentarsi dei ridotti trasferimenti da Londra a Edimburgo che, pro capite, pesano assai perché il welfare costa più a Nord che a Sud del Vallo. Il prezzo a carico di Londra è politico, più che economico. Il posto nel G-7 resterà saldo? Quello al Consiglio di sicurezza dell’Onu? In linea assolutamente teorica potrebbe essere, "in parte", rivendicato da Edimburgo. Il distacco, soprattutto, potrà farsi prologo alla dissoluzione, in un’esplosione incontrollata di "voglie" nazionalistiche e pulsioni localistiche. Da Edimburgo a Belfast la distanza è poca e non solo geograficamente. Una nuova vampata anti-unionista illuminerà l’Ulster e i lampi separatisti, a quelle latitudini, odorano di polvere da sparo. Cardiff già riflette sull’identità gallese. Tutto potrebbe accadere, una sola cosa accadrà con ragionevole certezza in caso di secessione: Londra uscirà dall’Unione europea. La sottrazione degli elettori scozzesi ed eurofili dal totale dei votanti al referendum nel 2017 sull’adesione all’Ue nel 2017 voluto dal premier David Cameron inclinerà irrimediabilmente la bilancia a favore del temuto Brexit. E quel giorno sui mercati il "terremoto" avrà ben altra intensità.
Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 9/9/2014