Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 09 Martedì calendario

Parolacce per Sette - Secondo lo storico della lingua, Giuseppe Antonelli, anche Leopardi diceva le parolacce

Parolacce per Sette - Secondo lo storico della lingua, Giuseppe Antonelli, anche Leopardi diceva le parolacce. Si capisce da alcune lettere. In una di queste il fratello Carlo gli diceva che senza di lui non poteva più esprimersi liberamente: «Non posso in tutto il giorno sfogarmi con un linguaggio un poco libero... buttare giù i cazzi, i porco D. eccetera». Comunque quasi tutti i classici dicevano parolacce, tranne Manzoni: «Ne era molto infastidito, e neppure da quelle che sentiva colloquialmente, ma dai lemmi del Vocabolario della Crusca». La più antica parolaccia di cui si ha notizia: un’iscrizione su una stele dell’era di Ramsete III (tra il 1198 e il 1166 avanti Cristo) informa che un certo Harentbia donerà cinque pani al giorno in onore del padre defunto, e che l’incaricato delle offerte, se non seguirà le istruzioni di Harentbia, incorrerà nella punizione di Amon e avrà un rapporto carnale con un somaro. Pitagora, credendo nei numeri come fondamento della realtà, imprecava dicendo: «Per il numero quattro». Socrate, invece, «Per il cane» (secondo Aristofane perché non credeva negli dei). «Le parolacce sono sacre (filologicamente) non meno di qualunque altra parola o virgola o accento del testo» (Carlo Emilio Gadda). «Credono di fare del Céline scrivendo merda ogni quattro righe» (Céline). Il regista Victor Fleming ebbe problemi per la battuta finale di Via col vento, in cui Clark Gable dice «Frankly, my dear, I don’t give a damn» («Francamente, me ne infischio»). Motivo: la parola “damn” era ritenuta oscena dalla commissione di vigilanza. Il produttore Selznick riuscì a dimostrare che si trattava di volgarità e non di bestemmia ed evitò la censura con una multa di 5 mila dollari. Secondo Eta Media Research in tv si sente una parolaccia ogni 21 minuti. Nella Rai degli anni Cinquanta erano considerate parolacce termini come alcova, amplesso, ascella, casino, parto, sudore, talamo, vizio e verginità. Le cosce erano solo di pollo, l’amante era la fidanzata, l’intestino l’organismo. Sconsigliati i femminili di immaginifico, benefico e malefico. Nel 1993 Stefania Craxi diede del «grandissimo stronzo» a Francesco Rutelli, che aveva parlato male di suo padre Bettino. La Craxi fu condannata a una multa di 50mila lire che pagò con alcuni bollettini postali i quali riportavano nella causale: «Per aver chiamato stronzo Francesco Rutelli». Solo lo 0,7% di ciò che diciamo è una parolaccia. Due terzi sono dette per ira e frustrazione. Il 38% dei papà e il 32% per cento delle mamme dicono le parolacce davanti ai bambini. Scatologia, dal greco «Parlare di cacca». Frank McDermott, capo di una società specializzata nei registratori per cabine di pilotaggio degli aerei, dice che le più frequenti ultime parole incise nelle scatole nere sono «Oh merda», pronunciate senza urla, senza panico. Dire parolacce aiuta a ridurre il dolore. Sessantaquattro volontari costretti a immergere la mano in un secchio di acqua ghiacciata e a tenerla a bagno il più a lungo possibile. La prova andava ripetuta due volte, la prima pronunciando parole comuni, la seconda lasciandosi andare a qualsiasi oscenità. Nel primo caso sono riusciti a tenere la mano a mollo 1 minuto e 15 secondi in media, nel secondo l’hanno tenuta circa due minuti (la sopportazione del dolore, grazie alle parolacce, è quindi aumentata di circa il 50%). Effetti fisici delle parolacce: accelerano il battito cardiaco e innalzano la conduttività elettrica della pelle. Se le diciamo in lingue straniere, gli effetti sono più attenuati. Le parolacce italiane, secondo l’esperto Vito Tartamella, sono 301, ma forse anche di più. La maggioranza (32,5%) rientra nell’area «comportamentale» (esempi: cacadubbi, lecchino, paraculo, scassapalle eccetera); all’area «sessuale» è riconducibile il 26,2% (bischero, vaffanculo, pippa, sfigato eccetera); il 18% all’area «etnico sociale» (coatto, crucco, beccamorto, pennivendolo ecc.); il 9,3% all’area «escrementizia» (cesso, cacone, stronzo, merdoso ecc.); l’8% all’area «mentale» (cretino, coglione, pistola, pirla ecc.); il 4% all’area «fisica» (nanerottolo, puzzone, smandrappato, ceffo ecc.); il 2% all’area «religiosa» (Madonna, Gesù, ostia ecc.). Gli insulti in russo formano un intero linguaggio, detto mat. Il linguista Alexei Plutser-Sarno lo sta raccogliendo in volumi: il primo basta appena per i soli derivati della parola khuy (membro maschile). Su 163 parole classificate come volgari dallo Zingarelli 2006, 57 (una su 3) non erano presenti nello Zingarelli 1983. Le parolacce generalmente sono di una sillaba più corte rispetto alla media delle altre parole; nelle parolacce c’è una diffusione più che doppia, rispetto alle altre parole, di consonanti “c” e “z”; sono più ricche di “a” e “o”. Le parolacce più usate dagli italiani: cazzo, casino, fregare, stronzata, coglione, balla, culo, vaffanculo, imbecille, incazzare, stronzo eccetera. In inglese: dick, cock, prick; in spagnolo: pinga; in francese: cigar, bitte; in tedesco: lul, pik. La canzone Tengo ’na minchia tanta di Frank Zappa passò indenne la censura americana perché nessuno capì il dialetto. L’antropologa Mary Haas dice che gli indiani Creek non dicono “fakk” (suolo) perché somiglia all’inglese “fuck”, e neppure “apissi” (grasso) e “apiswa” (carne) in quanto simili a “piss”. Anche i thailandesi evitano “fag” (nascere) per evitare assonanze con “fuck”. Se per un italiano è grave ricevere un’offesa alla propria madre, per un cinese è peggio al nonno. La città australiana che si chiama Fucking. Charlie, il pappagallo macao dalle penne blu e oro di proprietà di Winston Churchill. Il padrone gli aveva insegnato a dire «fanculo nazisti, fanculo Hitler». In Spagna la Mitsubishi ha dovuto cambiare nome alla macchina “Pajero” perché lì vuol dire “segaiolo”. «Questa è la legge del poeta smaliziato: / non può piacer se non è un po’ sboccato. / Perciò la serietà or deponete / e questi versi sciolti orsù assolvete. / Se poi qualche parola è impertinente / non osate castrar le mie canzoni, / che sarebbe l’esatto equivalente / di chi tagli a un pene i suoi coglioni» (Marziale).