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 2014  settembre 09 Martedì calendario

SANZIONI UE ALLA RUSSIA, APPLICAZIONE RINVIATA APPROVATE LE NUOVE MISURE. MA PER ORA RESTANO «CONGELATE» IN ATTESA DI VEDERE COME EVOLVE LA TREGUA IN UCRAINA


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — L’Europa prova a uscire, per metà, dalla sua fatale impotenza nei confronti di Vladimir Putin. A tarda sera, 15 colossi dell’industria petrolifera e meccanica russa, nonché delle produzioni di armi — quelli più grandi, i più vincolati da interessi milionari con l’Occidente e anche l’Italia — vengono aggiunti alla lista delle sanzioni economiche compilate dagli ambasciatori della Ue.
Ma quelle stesse sanzioni verranno applicate solo «nei prossimi giorni», per ora sono virtualmente congelate: divisioni fra gli europei, speranze che la tensione si allenti, indecisione cronica. Il criterio generale, se e quando scatterà, sarà comunque questo: finché continuerà l’attacco a tenaglia di Putin contro l’Ucraina, l’Occidente non comprerà le azioni e obbligazioni di quei colossi, non li finanzierà in alcun modo. La prima risposta del Cremlino è già arrivata: minacce di chiudere lo spazio aereo sopra la Russia, e minacce ancor più concrete di dare altre serrate ai rubinetti del gas naturale. Nella lista delle imprese colpite ci sono miti come la Kalashnikov, già produttrice degli storici mitragliatori sovietici; e c’è Rosneft, società pubblica che domina i pozzi e le arterie del petrolio, socia, tramite Lauro Sessantuno, della Pirelli con un pacchetto azionario del 13% (il suo presidente Igor Sechin sta fra i massimi dirigenti del gruppo italiano), e socia anche — con una quota del 20,9% acquisita dalla famiglia Moratti — della Saras, la grande raffineria di Sarroch in Sardegna, più volte al centro di inchieste ambientali ed epidemiologiche e per gli effetti delle sue lavorazioni sulla popolazione locale. È così importante per Mosca, la Rosneft, che il primo ministro Dmitry Medvedev non ha escluso ieri un’iniezione di aiuti di Stato pari a 31 miliardi di euro per sostenerne le casse. Ma anche per i partner europei e italiani, naturalmente, il salasso indirettamente provocato dalle sanzioni sarà pesante.
Nell’elenco dei «puniti» c’è anche Transneft (il «ragno» delle reti che gestisce le linee di distribuzione energetica) e Gazpromneft, quarto produttore di greggio nel Paese cresciuto all’ombra del Cremlino.
Medvedev minaccia sì la chiusura dello spazio aereo russo, ma aggiunge anche qualcos’altro: «Le sanzioni economiche contro la Russia avranno conseguenze politiche e questo sarà più rischioso che le restrizioni imposte sulle forniture, potrebbe spezzare il sistema di sicurezza globale. Ma io spero che i nostri partner occidentali non vogliano che questo accada e che non ci siano dei pazzi tra coloro che prendono le decisioni».
Il Cremlino minaccia quindi una risposta «asimmetrica» lasciandone l’interpretazione a Bruxelles. Pallida o esangue, per forza di cose visto che i fatti reali travalicano i comunicati dei politici, la controreplica di Herman Van Rompuy, presidente uscente del Consiglio Ue: se reggerà la tregua fra Russia e Ucraina, le sanzioni potranno essere ritirate. Van Rompuy riconosce che «c’è stato qualche incidente», e basa il suo relativo ottimismo sul fatto che i separatisti russi hanno mantenuto la loro promessa di liberare 1.200 prigionieri a Mariupol sulle rive del Mar d’Azov, dove si è recato il presidente ucraino Petro Poroshenko. Ma proprio a Mariupol si è sparato ancora qua e là.
E intanto, sono iniziate ieri e dureranno fino a domani le manovre congiunte fra Ucraina e Stati Uniti nel Mar Nero, cui partecipano 280 marinai americani oltre a spagnoli, canadesi, romeni e turchi. La flotta russa guarda. I cerini nel pagliaio aumentano.