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 2014  settembre 09 Martedì calendario

AZIENDE E MANAGER, I RISPARMI SUL FISCO ECCO CHI HA SCELTO LA VIA DELL’ESTERO


MILANO — «Furbetti cosmopoliti»: se nella prima parola c’è tutta la vis polemica di Diego Della Valle nei confronti di Sergio Marchionne, nella seconda si trova invece la chiave di lettura di un fenomeno davvero mondiale: l’arbitraggio fiscale. In parole povere, chi se lo può permettere sposta la residenza o la sede legale dell’azienda dal Paese in cui produce a un altro in cui si pagano meno tasse. È una delle conseguenze della globalizzazione contro cui gli Stati, a corto di denaro, hanno iniziato a lottare seriamente da quando è esplosa la crisi finanziaria.
Della Valle ieri si riferiva soprattutto alle scelte personali di Marchionne, che ha la residenza fiscale a Zug, in Svizzera. La residenza all’estero è sempre facile oggetto di polemiche. Anche per questo per esempio da alcuni anni ha preferito rientrare in Italia, almeno fiscalmente, Carlo De Benedetti, trasferendo la residenza da Sankt Moritz a Dogliani (Cuneo). Recente è il caso di Ezio Greggio, anch’egli residente a Montecarlo, che si è accordato con 20 milioni da versare al Fisco per chiudere una contestazione su una società irlandese che gestiva i suoi diritti di immagine. Il Principato è sempre una delle mete preferite dai mega-ricchi. Lì abitano per esempio da anni, tra gli altri, Michele Ferrero, il patron della Nutella, e Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica.
Altro tema sono le società. Chi ha ingaggiato una dura lotta contro le fughe fiscali delle grandi corporation sono gli Stati Uniti: nel mirino dell’amministrazione Obama c’è la pratica della «tax inversion», cioè della fusione tra società di Paesi diversi anche allo scopo di spostare la sede legale fuori dai confini americani. Gli esempi recenti sono indicativi di una tendenza sempre più marcata: Burger King si fonderà con la canadese Tim Hortons e sposterà in Ontario il quartier generale. Talvolta però la pressione dell’opinione pubblica riesce a impedire lo spostamento fuori dagli Usa, come è avvenuto con l’annunciata fusione tra le catene di farmacie Walgreens e Alliance Boots, britannica ma con sede legale in Svizzera. Nonostante il risparmio fiscale fosse uno dei motivi dell’integrazione, il management e i soci — a cominciare dal primo azionista, l’italiano Stefano Pessina (anch’egli residente a Montecarlo) — hanno ritenuto più importante evitare il danno reputazionale e piuttosto che essere tacciati di «anti-patriottismo» hanno preferito mantenere la sede in America.
Un caso sui-generis di «inversion» è anche quello di Fiat-Chrysler, ha scelto la Gran Bretagna come sede fiscale più conveniente per una multinazionale nonostante la quotazione a Wall Street e la sede legale in Olanda, sebbene continuerà a pagare le tasse in Italia. Anche il Fisco italiano ha ingaggiato da tempo una serrata verifica sulle residenze estere dei grandi gruppi, che ha portato anche a transazioni milionarie. Grazie alla «voluntary disclosure» a fine 2013 le holding estere di famiglia di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli hanno versato circa 420 milioni di euro per rientrare in Italia. E nella moda non è l’unico caso: Giorgio Armani ha versato di recente al Fisco 270 milioni per chiudere ogni contestazione sulle società all’estero e così anche la maison Bulgari, per 42 milioni.