Filippo Facci, Libero 9/9/2014, 9 settembre 2014
TOTÒ E I PEPPINI
Da mesi i giornali pubblicano le ridicole «intercettazioni» di Totò Riina, un vecchio bilioso che 25 anni fa comandava una mafia miltare ormai estinta. L’interesse per queste intercettazioni è feticismo giudiziario: sia perché appunto non contano nulla (come Riina) sia perché vengono strumentalizzate per rilegittimare il languente processo sulla «trattativa». Ora: passi che i soliti servi di procura si prestino alla pubblicazione di queste veline, ma che ne rovescino il contenuto dovrebbe cominciare a interessare l’Ordine dei giornalisti. «Incontrai Andreotti» hanno titolato: poi vai a rileggere bene le intercettazioni come ha fatto ieri Il Tempo e scopri che Riina non ha detto niente del genere, anzi, nega più volte l’incontro. Libero, a gennaio, fece la stessa operazione de Il Tempo: rilesse i brogliacci integrali e scoprì che certe sintesi giornalistiche avevano stravolto i bofonchiamenti di Riina. Il quale non minacciava il pm Di Matteo: semmai mostrava di non conoscerlo e si compiaceva che le sue parole intercettate avessero tanto effetto mediatico. Inoltre Riina diceva che il «papello» e la mitica «trattativa» non erano mai esistite: ma questo, i peppini dei giornali, si erano guardati dal riportarlo. Così come non avevano scritto è sempre Riina a dirlo nelle intercettazioni che Berlusconi andava ucciso e che Caselli aveva imboccato i pentiti: e avevano fatto bene a non scriverlo, perché i deliri di un ergastolano rincoglionito non meritano spazio. Ma dovrebbe valere sempre.