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 2014  settembre 03 Mercoledì calendario

QUANDO LA SALA OPERATORIA DIVENTA UN FILM HORROR

Da una parte i medici che si difendono, dall’altra i pazienti che si sentono traditi. Scorrendo le cronache e i dossier che si occupano di malasanità, accertata o presunta, sembra che sia in corso da molti anni una vera guerra. Otto medici su dieci con 20 anni di anzianità professionale – stima il Codici, Centro per i diritti del cittadino – sono stati sottoposti a un’inchiesta per un presunto errore, almeno una volta nella loro carriera. Sintomo del fatto che i pazienti non si fidano e che, nel momento in cui sopraggiunge una complicazione, la prima tentazione che viene è quella di dare la colpa al sanitario cui ci si è rivolti. Qualche volta si ha ragione, altre no, o almeno la giustizia penale non riesce ad accertare le reali responsabilità: due cause su tre si concludono, dopo molti anni, con un’assoluzione. La presunta malpractice è al terzo posto tra le segnalazioni che i cittadini hanno fatto lo scorso anno alle 300 sedi italiane del Tribunale per i diritti del malato. Il rapporto PiT Salute 2014 – che sarà presentato alla fine di settembre, ma che il Fatto è in grado di anticipare – evidenzia come su 24.110 segnalazioni, la presunta malasanità è al 15,5 per cento, rappresenta cioè oltre 3.700 denunce. Tra queste, i presunti errori terapeutici sono al 58,5 per cento e quelli diagnostici al 41,5. Le medaglie nere, e questa non è una grande novità rispetto agli ultimi anni, vanno a ortopedia, chirurgia generale, oculistica, ginecologia, odontoiatria e oncologia.
ERRORI E ORRORI IN TUTTA ITALIA NEGLI ULTIMI ANNI
Numeri che prendono forma quando si raccontano alcuni dei casi più gravi degli ultimi anni. Nel febbraio 2007 all’ospedale di Careggi, Firenze, per un errore di trascrizione sono stati impiantati su tre pazienti gli organi espiantati ad una paziente sieropositiva. Sempre nel 2007, annus horribilis, al Sant’Orsola-Malpighi di Bologna una donna è morta dopo l’asportazione di un rene (le era stata attribuita la Tac di un’altra paziente con lo stesso cognome) e al San Paolo di Milano, durante un aborto terapeutico per eliminare un feto malformato in una gravidanza gemellare, è stato soppresso per errore quello sano. La magistratura è chiamata ora ad accertare cosa sia accaduto nel luglio scorso al policlinico Tor Vergata di Roma, dove una bimba affetta da anemia falciforme è morta durante un intervento di posizionamento di un catetere, operazione preliminare al trapianto di midollo considerata di routine. Ed è di pochi mesi fa la notizia che a Modena un uomo si è visto estrarre una garza dall’addome 35 anni dopo essere entrato in sala operatoria.
IL TRIBUNALE PER I DIRITTI DEL MALATO
“Nel caso di Potenza chiediamo non solo che vengano accertare al più presto le responsabilità e che, nel frattempo, l’equipe venga sospesa – commenta Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato –, ma che quanto accaduto apra una riflessione più seria sulla necessità di dotare le sale operatorie di una sorta di ‘scatola nera’, che rimanga a disposizione di paziente e medico. A tutela di entrambi”. In questa direzione va la decisione del garante della privacy che ha dato ragione a una paziente la quale chiedeva all’ospedale la registrazione del suo intervento.
LA DIFESA DEI DOTTORI: “AVVOLTOI E ALLARMISTI”
Esiste però l’altro fronte, quello dei medici: secondo i rapporti dell’Unione europea, dicono i membri dell’“Associazione Medici accusati di malpractice ingiustamente”, “il 57 per cento degli italiani teme di subire danni in ospedale, nonostante solo il 13 per cento di loro abbia dichiarato di averlo subito”. Questo perché, spiegano, esistono gli “avvoltoi della malasanità, pronti a trarre vantaggio dall’allarmismo”. E in effetti basta navigare su internet e cercare “errori sanità” per trovarsi di fronte a un lungo elenco di studi legali pronti a difendere cittadini-presunte-vittime. “Il corporativismo e l’omertà che abbiamo visto a Potenza – prosegue Aceti – dovrebbero far ripensare la normativa sulla responsabilità professionale, e non solo nella direzione di abbreviare i termini di prescrizione per la denuncia”.
IL SISTEMA ASSICURATIVO FAI-DA-TE
Ormai le Regioni, da cui dipendono le Asl, non stipulano più contratti assicurativi, troppo onerosi a fronte degli effettivi risarcimenti da erogare. Secondo l’Ania (l’associazione delle imprese assicuratrici), Liguria, Toscana, Puglia e Basilicata hanno adottato un sistema fai-da-te, con fondi accantonati ad hoc. Le altre Regioni, e la Provincia autonoma di Trento, restano assicurate per importi superiori a una certa soglia, che va dai 250 ai 500mila euro. Mentre i privati hanno l’obbligo di assicurarsi, per i medici dipendenti pubblici rispondono appunto le Asl. E, a maggior ragione allora, in sala operatoria il silenzio diventa d’oro.
Silvia D’Onghia, il Fatto Quotidiano 3/9/2014