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 2014  agosto 31 Domenica calendario

SÌ, LA MUSICA MIGLIORA LA SOCIETÀ


Un po’ come Martin Luther King, fatta salva la nobiltà dell’ispirazione: «I have a dream…». Anche David Cameron, premier inglese, aveva e proclamava un sogno: fermare a 100 mila, prima delle elezioni del 2015, gli arrivi annuali degli immigrati stranieri in Gran Bretagna. Non c’è riuscito: solo nell’ultimo anno l’immigrazione è cresciuta del 30 per cento, e sono stati gli italiani a far impennare le quote: oltre mezzo milione in tutto il Regno Unito, 44 mila solo a Londra, mai così tanti dal 1964. E per l’80 per cento hanno meno di 34 anni. Quello che cercano — lavoro, benessere, valorizzazione del talento — lo trovano.
In cambio portano menti fresche, volontà di impresa, intelligenza. E anche cultura. Soprattutto in un campo: la musica, leggera e anche classica; è qui che i nuovi arrivi si fanno davvero sentire. Per esempio alla Royal Opera House del Covent Garden, uno dei templi mondiali di lirica, danza e balletto, è nato il nucleo di quella che già si potrebbe chiamare una «scuola italiana»: è italiano e figlio di italiani il direttore musicale Sir Antonio Pappano (anche se nato e vissuto fra Gran Bretagna, Usa e altri Paesi), 55 anni a dicembre; ed è italiano il suo assistente, Michele Gamba, milanese di 31 anni, conduttore associato del laboratorio-scuola dove si formano i migliori talenti della Royal Opera, il «Jette Parker Young Artists Programme».
Diplomato al Conservatorio di Milano e laureato in filosofia alla Statale (tesi su Hannah Arendt), Gamba è una smentita vivente delle tesi più estremistiche sulle influenze ambientali: non ci sono musicisti nella sua famiglia. Tant’è vero che comincia a strimpellare un piano a 4 anni, ma quel piano è un regalo dei genitori per un fratello maggiore, poi diventato economista a Washington. A 6 anni, Michele prova a dirigere la Settima di Beethoven in cucina con una forchetta; a 12 anni, dirige per davvero un concerto. «La musica — dice oggi — l’ho scoperta dentro di me come una “passione ossessiva”. Mi considero un musicista, più che pianista o direttore d’orchestra, in un mondo ideale vorrei essere un musicista a 360 gradi». E compositore? «No, mai sentito l’istinto di scrivere note».
Quest’estate, dopo averlo studiato per sei mesi, Gamba ha diretto al Covent Garden il primo atto di Così fan tutte di Mozart , la sua prima direzione in assoluto, e le recensioni inglesi hanno lodato il suo tocco «lieto, leggero»: «Ho voluto che fosse così, perché quello spartito mi ha divertito molto e ho voluto che gli altri lo recepissero come me, un ragazzo di trent’anni». Ma per un trentenne che ci vive dentro, appunto, che cos’è la musica? «Guardi, un musicista non salva una vita umana. Ma se l’orecchio che ascolta è attento, libero da pregiudizi, la musica può essere lo specchio dell’anima. E una persona può cambiare in base a un’emozione, può aspirare a creare società e uomini migliori. Se io sono seduto vicino al mio peggior nemico e insieme ascoltiamo la Nona , allora quello lì è mio fratello. Ma non mi chieda perché, è un mistero».
Questi primi sette anni di Londra, dice Gamba, sono stati «duri» come ogni prova di adattamento. E se fosse rimasto in Italia? «Non so, ognuno ha un suo percorso… Ma sono legatissimo al mio Paese, penso che in Italia formiamo bravissimi musicisti e abbiamo docenti straordinari: solo, ci sono pochi soldi». Tuttavia, «la musica globalizza», e l’Italia all’estero è «un faro». Come una sorta di prodotto interno lordo alla rovescia, cioè in buona salute. Il talento italiano «funziona ancora bene, incute rispetto». Ci invidiano, anche: «La preparazione musicale italiana è disciplinata, severa. E l’influsso italiano a Londra (da Abbado a Muti, a Pollini, a Pappano) ha radicato un rispetto generalizzato verso il ruolo italiano nella musica. Per esempio, qui alla Royal Opera House c’è un bravissimo timpanista italiano che prima è stato per tanti anni con la London Simphony Orchestra».
Quello che poi significhi, in concreto, preparare e dirigere un’opera, è qualcosa che non è facile descrivere: «È un’esperienza che aumenta la tua pazienza. Studi ogni nota, ti ci immergi da quattro, sei mesi prima. Segui tutti i musicisti in tutte le prove, devi ascoltarli e non solo musicalmente. Sei esposto alle loro e alle tue emozioni, ma queste emozioni devi poi essere in grado di controllarle, di farle controllare: niente eccessi divistici. Pappano mi ha detto all’inizio: tutto, farai tutto. E così suono, ascolto, dirigo le prove, compongo con gli altri una foto panoramica. Un po’ come sulle barche a vela: uno sta al timone, ma gli altri membri dell’equipaggio sono indispensabili». E fuori dalla «barca», cioè dal teatro? C’è una musica «altra», che il maestro non disdegna: «Nel rock mi piace molto Freddie Mercury, poi De André, Mina e Celentano attraverso i vecchi dischi dei miei. E mi piace molto il jazz. Ma sa quali note mi hanno colpito per prime, da bambino? I jingles , le musichette pubblicitarie televisive». Perché «la musica globalizza», come dice lui. E forse, all’estero, può anche sostituire un poco il nostro malinconico Pil.