Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 02 Martedì calendario

STUDI DI SETTORE INUTILI PER I PROFESSIONISTI

La stagione degli studi di settore sta volgendo al termine. La stessa amministrazione finanziaria non ci crede più e sembra orientata a ridimensionarli. I numeri parlano chiaro. Sui redditi 2006 e 2007 furono oltre 600 mila le partite Iva che decisero di integrare i ricavi dichiarati per allinearli a quelli richiesti da Gerico, il software che dovrebbe essere in grado di determinare un reddito medio per certe categorie di attività. In quegli anni l’amministrazione finanziaria faceva sentire il fiato sul collo dei contribuenti in modo molto insistente, con oltre 100 mila controlli a tappeto effettuati sulle stesse categorie. Ma già nel 2008 una circolare dell’Agenzia delle entrate prendeva atto che i risultati degli studi di settore costituiscono una presunzione semplice, insufficiente a giustificare, da sola, un accertamento tributario. In quell’anno i controlli brevi scendevano a 77 mila, per ridursi a 35 mila nell’anno seguente. In parallelo scendeva anche il numero dei contribuenti che sceglievano di adeguarsi: 520 mila nel 2008, 420 mila nel 2009. L’ultimo dato disponibile, quello del 2012, registra un’ulteriore riduzione dei contribuenti congrui per adeguamento in dichiarazione, scesi a 330 mila. Nei piani alti di via Cristoforo Colombo, la sede centrale dell’Agenzia delle entrate, si fa sempre più insistente la voce che narra di una volontà di ridurre in modo consistente il numero delle categorie soggette agli studi di settore. Si passerebbe dalle attuali 205 a poco più di un centinaio. Fuori tutti i professionisti, un insieme di contribuenti per i quali stimare un reddito presunto si è rivelato più difficile del previsto. Fuori anche tutte le categorie con un minor numero di imprese coinvolte. Rimarrebbero quei settori, come bar, ristoranti, edilizia leggera, dove Gerico sembra aver svolto in modo sufficiente il suo compito. Per gli altri si tornerebbe agli accertamenti basati sulle vecchie metodologie di controllo, opportunamente aggiornate. Per molte imprese non sarà una bella notizia. Se gli studi di settore erano una spina nel fianco che costringeva a fare scelte anche dolorose per comprare la pace fiscale, la mancanza farà saltare ogni tetto al valore massimo degli accertamenti. Renderà le verifiche meno prevedibili e i risultati di queste si trasformeranno in percentuali massicce in contenzioso. In realtà, il 70% dei contribuenti soggetti agli studi di settore è naturalmente congruo, cioè dichiara ricavi compatibili con quelli richiesti da Gerico. E questo succede soprattutto perché, sapendo in anticipo qual è il livello dei ricavi a lui richiesto, finisce per allinearsi spontaneamente, evitando così di pagare la maggiorazione del 3% richiesta per l’adeguamento in dichiarazione. Da questo punto di vista, gli studi di settore si sono rivelati uno straordinario strumento per incentivare la compliance fiscale. Anche oggi che lo strumento è stato depotenziato dal punto di vista probatorio, ci sono più di 300 mila contribuenti disponibili ad acquistare la pace fiscale pagando più imposte di quelle che avevano dichiarato. Il dato fa riflettere, perché si tratta di un comportamento irrazionale dal punto di vista economico. Questi contribuenti infatti, se non si adeguassero in dichiarazione, avrebbero comunque la possibilità di farlo in caso di un (improbabile) accertamento, versando una modesta maggiorazione. Non ci sarebbe quindi motivo di farlo prima. Evidentemente, per molte partite Iva, evitare futuri problemi con il fisco ha un valore psicologico importante. E vale comunque la pena di pagare un prezzo per evitare seccature. O per sentirsi a posto con la coscienza. Non è un caso se l’Istat ha calcolato che nel 2007, l’anno d’oro degli studi di settore, per la prima volta nella storia della repubblica, il volume d’affari non dichiarato (il nero) è sceso sotto il 15%.
Marino Longoni, MilanoFinanza 2/9/2014