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 2014  agosto 31 Domenica calendario

“UGUAGLIANZA? QUESTO È IL TEMPO DELLA DIVERSITÀ”

[Intervista a Gaetano Pesce] –
Gaetano Pesce è appena arrivato nel suo ufficio nel cuore di Manhattan, al numero 543 di Broadway. E subito racconta: «Vivo a New York dal 1980, sono passati trentaquattro anni da quando mi sono trasferito qui. Amo la città, ma quest’estate è caduta per lungo tempo una forte pioggia ed è stato piuttosto seccante, dopo l’inverno molto freddo che abbiamo avuto. Normalmente mi piace mangiare all’aperto in estate, come d’altronde si è soliti fare a Roma o in altre città italiane. Anche a New York stiamo prendendo la stessa abitudine, ma quest’estate non c’è stato assolutamente modo di farlo».
Perché ha deciso di trasferirsi a New York e soprattutto di diventare un newyorkese?
«Perché New York, in un modo o nell’altro, rappresenta al meglio il concetto moderno di mix di diversità nella sua popolazione, nei suoi valori, nei vari linguaggi. La mia casa è nei quartieri alti, mentre il mio ufficio si trova nel centro della città. Ogni giorno, quando vengo qui a Soho, è come cambiare Paese. Questa città, dalla seconda metà del XX secolo, è la capitale del mondo. Prima lo era Parigi, poi Londra, negli Anni Sessanta. Londra è una metropoli ancora molto intensa e vivace, Parigi invece ha perso la leadership culturale che ha avuto per tutta la prima parte dello scorso secolo. Almeno, questa è la mia opinione. Sa, come gli esseri umani, gli animali e gli alberi diventano vecchi, così succede anche ai Paesi e alle città».
Secondo lei quale sarà la prossima capitale del mondo?
«Si dice Shangai, ma io non ci credo fino in fondo. Forse Hong Kong un giorno sarà un luogo molto forte, ma non per i prossimi trent’anni, durante i quali New York manterrà la sua leadership. La qualità della vita è creata dall’energia e dalla presenza di giovani. E i giovani vengono ancora a New York da ogni parte del mondo perché pensano che qui si possa - più che altrove - sognare e realizzare i propri sogni».
Lei si considera ancora italiano?
«Sì. Anche se vivo qui dal 1980, non sono stato obbligato a cambiare le mie abitudini di vita . Mia madre era di Venezia e mio padre di Firenze: non ho dovuto modificare le mie consuetudini. È che io non credo di essere americano, ma rimango qui perché questa città è di tutti: ebrei, coreani, latinoamericani, europei. È un catalogo vivente degli esseri umani».
Parlando del suo lavoro, fino al 5 ottobre è in corso una retrospettiva sulle sue opere al museo Maxxi di Roma, il Museo d’arte contemporanea realizzato da Zaha Hadid. Che cosa si può dire di questa mostra?
«Prima di tutto, voglio dire che è multidisciplinare: ci sono modelli di architettura, disegni, sculture, una registrazione che ho fatto negli Anni Settanta, un film che ho realizzato per il Museo d’Arte Moderna di New York. Il titolo della mostra è “Il tempo della diversità”. Dal periodo della Rivoluzione Francese, in cui una delle tre parole del motto principale era “Égalité”, uguaglianza, si arriva a oggi dove l’uguaglianza non è più un simbolo della nostra società. Quando due cose sono equivalenti non hanno nulla da esprimere, ma le cose non sono mai così. Quando alcuni movimenti politici come il comunismo hanno cercato di trasformare la società in una società equa, non ci sono riusciti. Oggi viviamo in un tempo di diversità e la mia mostra a Roma si basa proprio su questo concetto. Ho voluto aggiungere alla retrospettiva, nella piccola piazza che si apre appena fuori del museo, una grande poltrona alta sette metri, ingrandimento di una poltrona che creai 35 anni fa a forma di corpo di donna con attaccata al piede una sfera, come se fosse l’immagine di un prigioniero».
Quali sono i suoi nuovi progetti?
«Sto disegnando sulla resina che chiamo “pelle da disegno”. Mi permette di lavorare su tre dimensioni ed è un modo fantasioso di creare su una superficie che conosco e con la quale lavoro da molto tempo. È un materiale dei nostri tempi, non come la carta. La carta è un materiale antico».
Oggi è particolarmente vivo il mondo dell’arte?
«Sì, assolutamente più di altri periodi. A New York ci sono sempre tante mostre interessanti. Io stesso in questo periodo ho una mostra a New York sui miei disegni».
Non crede che i prezzi stiano diventando troppo alti?
«Forse, ma non lo trovo così rilevante. I prezzi salgono e si abbassano e gli artisti continuano a lavorare tutto il tempo. L’arte in generale si è sempre mossa dove c’erano buone condizioni economiche: Venezia e Firenze erano città ricche durante il Rinascimento e infatti l’arte era fiorente, come successivamente è avvenuto a Parigi e a New York... Naturalmente ci sono spesso delle sorprese, ma anche questo fa parte del gioco».
E per quanto la riguarda?
«Io assolutamente continuo a lavorare».
Alain Elkann, La Stampa 31/8/2014