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 2014  agosto 31 Domenica calendario

OBAMA, UN UOMO PIÙ SOLO AL COMANDO

È sempre un cattivo segno quando un politico comincia a lamentarsi di come i media descrivono la realtà per spiegare l’insoddisfazione della gente. Il presidente Obama lo ha fatto venerdì, difendendo poi i risultati della sua amministrazione, e rivendicando la leadership globale che gli Usa continuano ad avere. Ha ragione quando dice che davanti ai consolati russi e cinesi non c’è la fila di persone che vogliono immigrare. Però è anche vero che la sua popolarità scende da mesi, al punto che, secondo il sito «Politico», i democratici non hanno sollecitato la sua presenza negli Stati più contesi, dove nelle elezioni midterm di novembre si deciderà la maggioranza del prossimo Congresso.
Il bilancio è fatto di luci ed ombre. Obama durante i primi sei anni di presidenza ha dato la priorità ai problemi interni, partendo dalla crisi economica, perché gli americani erano stanchi delle guerre decise da Bush e chiedevano lavoro. La ripresa non è travolgente, ma la disoccupazione è scesa, le aziende fanno profitti, e Wall Street sta battendo tutti i record. In qualunque altra situazione, questi risultati sarebbero bastati a determinare il successo di una presidenza, ma per Obama no. Gli scontri di Ferguson, ad esempio, hanno dimostrato che grandi sacche della popolazione restano escluse dal benessere, e ciò tiene alta la tensione sociale e razziale. La riforma della sanità, nonostante stia funzionando meglio di quanto prevedessero i repubblicani, è stata segnata dai problemi del lancio, lasciando l’impressione di un’opera incompleta. Il resto dell’agenda, dall’immigrazione all’accordo per ridurre il debito, è rimasto sulla carta, e il caos internazionale, sommato a scandali come quello di Snowden, sta dando agli americani la sensazione del declino. Per queste ragioni a novembre i democratici rischiano di perdere la maggioranza al Senato, dove tutto si giocherà sui seggi che hanno in Stati tipo Alaska, Arkansas, Louisiana o North Carolina.
Obama sostiene che il mondo è sempre stato complesso e la leadership americana è intatta, ma Henry Kissinger nel libro in uscita il 9 settembre risponderà che l’ordine mondiale è compromesso. I democratici dicono che il presidente è stato frenato dal pregiudizio razziale e dall’ostruzionismo cieco dei repubblicani. Anche questo è vero, ma non basterà a salvare la sua eredità storica, se nei due anni rimasti non troverà il modo di ristabilire l’ordine e realizzare qualche obiettivo dell’agenda interna, come la riforma dell’immigrazione che garantirebbe ai democratici la tenuta dell’elettorato ispanico.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 31/8/2014