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 2014  settembre 02 Martedì calendario

RAID, GAS O PARTIZIONE? LE TRE OPZIONI SUL TAVOLO UE


Per come si sono messi i rapporti di forza sul terreno, sembrano esserci solo tre possibilità per risolvere la crisi dell’Ucraina. Tre opzioni, una peggio dell’altra, purtroppo. La più rovinosa di tutte sarebbe quella di rispondere con le armi alla controffensiva dei separatisti e delle forze speciali russe. A questo punto la mossa risolutiva sarebbe una sola: accogliere immediatamente l’Ucraina nella Nato e applicare senza indugi la norma cardine, l’articolo 5: tutti i Paesi membri accorrono in difesa di un partner sotto attacco militare. Il risultato sarebbe una guerra devastante nel cuore dell’Europa, combattuta tra le strade di città popolose, contro una potenza dotata di temibili armamenti convenzionali, senza considerare la follia delle testate nucleari. L’esperienza degli ultimi sei mesi dimostra che il sostegno indiretto non è sufficiente. Non bastano la benzina dei polacchi o i binocoli degli americani: l’esercito ucraino non ha i mezzi e l’organizzazione per respingere le unità corazzate russe oltre i confini. La Nato è pronta a mandare droni, caccia bombardieri, missili e almeno 15-20 mila soldati per garantire l’inviolabilità dei confini dell’Ucraina? Questa è la domanda chiave, al netto della propaganda, per altro sempre più inutile, man mano che passano i mesi.
La seconda carta è quella delle sanzioni economiche. Ma, ancora una volta, l’evidenza empirica suggerisce che, se si vuole davvero mettere in difficoltà la Russia, occorre applicare misure radicali sulla produzione e l’esportazione di gas e petrolio. Tutto il resto, dal caviale alle banche, non è decisivo. I Paesi europei sono in grado di rinunciare a una quota vitale di energia? Resta, allora, la strada del negoziato. Ma va imboccata al più presto. Lo scorso aprile i filorussi si sarebbero accontentati di un robusto decentramento politico e amministrativo. A Kiev giuristi ed esperti dibattevano anche in pubblico sulle modifiche costituzionali necessarie. Poi il gruppo dirigente legittimato dalla rivolta di Maidan cancellò tutto, confidando di essere in grado di mantenere l’integrità del Paese. Ciò non è avvenuto e tutto lascia pensare che non avverrà. Nel frattempo i separatisti sono passati a pretendere una formula di federalismo che non esiste in natura. La «Novorossia», così si dovrebbe chiamare il nuovo Stato, rimarrebbe federato a Kiev, ma con la libertà di concludere accordi internazionali. Nel caso specifico: aderire all’Unione doganale promossa da Mosca, con Bielorussia e Kazakistan. Un mostro giuridico: sarebbe come se il Texas firmasse un trattato con il Messico, scavalcando Washington. In realtà i filorussi puntano alla secessione. Ma forse il presidente ucraino Petro Poroshenko ha ancora un modo per limitare il danno: riconoscere un ruolo politico ai ribelli armati. Duro da accettare per un Paese democratico. Durissimo. Meglio, però, infinitamente meglio della guerra e del suicidio economico.