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 2014  settembre 02 Martedì calendario

RECORD DI PENDOLARI DEL JIHAD BRUXELLES CAPITALE PURE D’EURABIA


Dovebbe essere la capitale delle istituzioni europee e invece Bruxelles è il punto di riferimento del jihadismo internazionale. Lungo le sue vie che più ricordano quelle del Cairo che di una metropoli del nord si alimenta l’estremismo islamico che spinge sempre più giovani a partire alla volta di Siria e Iraq, per unirsi agli spietati combattenti dell’Isis.
Sono tanti i tristi record che Bruxelles e il Belgio detengono in questo ambito. Secondo uno studio recente, infatti, il maggior numero di jihadisti stranieri, in rapporto al numero di abitanti, proviene dal Belgio: a fronte di una popolazione di circa 11 milioni di persone, 250 sono andate in Siria per unirsi ai ribelli. Si tratta di più di venti persone su un milione. Altro primato ancora più triste è quello del terrorista più giovane. È il 13 enne Younes Abaaound, partito da Bruxelles a gennaio insieme con il fratello 27enne Abdelhamid, secondo Shiraz Maher del centro studi sulla radicalizzazione al King’s College di Londra. Secondo il padre di Younes, un negoziante originario del Marocco, il 13enne avrebbe seguito il fratello maggiore cui «è stato fatto il lavaggio del cervello» in Belgio. Non è chiaro se Younes sia in effetti impegnato in prima linea nei combattimenti, ma sui social network era circolata una suo foto in cui imbraccia un fucile. Lui e tanti altri fanno parte di un esercito senza divisa, ma che cresce e si moltiplica sempre più rapidamente all’ombra delle periferie delle città europee.
Ormai ha superato le 2.000 unità, 2.300 secondo le stime di Europol, un incremento verticale rispetto alle circa 800 stimate la scorsa estate. Sono i “foreign fighters”, i combattenti giovani o giovanissimi, nati e cresciuti in Europa, che si uniscono alla jihad in Paesi come Siria e Iraq.
E che, quando tornano, costituiscono una seria minaccia terroristica, come ha dimostrato l’ultimo, eclatante caso di Mehdi Nemmouche, il francese autore della strage al Museo ebraico di Bruxelles, che ha fatto 4 vittime a fine maggio. Il giovane aveva combattuto un anno in Siria con i miliziani dell’Isis.
Ed è questo il terzo triste record per il Belgio: lì è stato compiuto il primo attacco in Europa dell’Isis. In generale, il profilo dei “fighters” è quello di giovani musulmani delle periferie, di seconda o terza generazione, che abbracciano la dottrina jihadista spesso in solitudine, attraverso i social network come Facebook, Twitter e Youtube. La principale preoccupazione del governo di Bruxelles è seguirne le tracce per misurare la loro pericolosità una volta rientrati, in quanto c’è il rischio che l’esperienza vissuta permetta loro di fare qualunque cosa.
Anche due ragazze, una di 17 e una di 19 anni, sono partite per la Siria con un gruppo estremista in quanto fidanzate di alcuni combattenti, ma se ne sono perse le tracce, ed è quindi possibile che siano state rapite da un altro gruppo di jihadisti.
L’Ue da tempo segue con attenzione il fenomeno, e ha proposto un hub europeo ad hoc, oltre a una serie di misure di sicurezza, come un sistema di registrazione dei passeggeri aerei e uno di controllo di chi entra ed esce dall’Ue. Ma non basta per fermare un fenomeno in continua crescita. Soprattutto in Belgio, dove finiscono fra le file dell’Isis ragazzi musulmani insospettabili. Basta vedere le tante, tantissime, immagini che postano sui social network, in cui si vantano delle loro imprese, molto spesso gonfiandole, e si fanno ritrarre con un mix di abiti occidentali e altri più tipici del perfetto jihadista. Come Abu Houdaifa Ahmed, 21 anni, la cui famiglia è originaria del Marocco. Ha fatto le scuole superiori in Belgio come qualsiasi altri ragazzo e poi è iniziato l’indottrinamento, nella moschea o direttamente in famiglia, contando che il fratello aveva già esperienze di terrorismo in Afghanistan. Si fa immortolare con un cappellino di lana, le scarpe da ginnastica di marca e l’immancabile fucile mitragliatore. Un altro è griffato da capo a piedi, altri indossano costosi occhiali da sole e accessori che poco hanno a che fare con la “guerra santa” all’Occidente.
I Belgi combattono soprattutto nella zona di Aleppo dove hanno una propria brigata. All’Iraq preferiscono la Siria in cui si parla anche la loro lingua. Sarebbe sbagliato dire che fra loro ci siano solo disagiati ed emarginati. Come accade in Gran Bretagna, molti sono di ottima famiglia, che sta pagando loro gli studi. Ma loro si inventano scuse per poter raccogliere i soldi necessari al viaggio in Medio oriente. Di solito i passaggi obbligati sono la Germania e la Turchia.
Una volta arrivati sul territorio turco, quasi sempre seguendo le informazioni raccolte da amici o parenti, arrivano al confine con la Siria e una volta passati dall’altra parte si aggregano ai gruppi dell’Isis. Il problema è quello che può succedere quando tornano in Europa.