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 2014  settembre 01 Lunedì calendario

“LA PIADINA PERFETTA? NASCE DALLE CONDIZIONI METEOROLOGICHE”

Avere la ricetta migliore non basta. E nemmeno ingredienti eccellenti e ripieni di stagione. Niente da fare, tutto questo non è sufficiente. Per la piadina perfetta, tonda e sottile, capolavoro di profumi e gusti antichi, bisogna essere capaci di annusare l’aria. Come fanno i pescatori. Sì, perché la prima regola per qualsiasi piadinaro è quella di andare sull’uscio della porta, prima ancora che in cucina. E da lì studiare la temperatura, capire l’umidità e sentire la direzione del vento. “È il passaggio principale, quello più delicato”.
Solo dopo essersi improvvisati meteorologi si potrà andare in laboratorio. E in quello della signora Lella, all’anagrafe Gabriella Magnani, nessuno ha mai visto un conservante, un colorante e nemmeno un freezer. È anche per questo che, in quasi 30 anni, da piccola bottega il suo negozio è diventato un’istituzione tra le vie di Rimini. Di qui è passato anche lo chef pluristellato Massimo Bottura, che alla piada della Lella ha dedicato una ricetta a base di pesto modenese. Un tempio della cucina povera il suo, dove ogni giorno s’impastano centinaia di piadine e cassoni. Piatti nati nelle case spoglie dei contadini, preparati più per sfamare che per saziare, la cui ricetta affonda le radici in terra di Romagna, là dove le colline si tuffano nel mare.
“Quando ero bambina, la piadina era il pane della miseria. La donna impastava e stendeva. Il marito, dopo, cuoceva. Poi si riempiva di tutto quello che si aveva in casa”. Sessantaquattro anni, ne ha passati cinquanta al calore dei fornelli. Inizia nei ristoranti sul mare, ma lo stipendio non le basta. Così prende per mano sua figlia Marina e comincia a girare la città, in cerca di un locale dove aprire una piadineria. Lei, figlia di un imprenditore e di una contadina, trova il modo per unire il fiuto per gli affari alle ricette imparate da sua madre. “Era il 1986. Facevo solo 5 tipi diversi di piadina. La compravano gli anziani, che chiedevano sempre la stessa cosa: piada con squacquerone”.
Poi la crisi cambia il vento e rovescia le prospettive. Spinge a rivalutare i cibi poveri, a rendere giustizia ai sapori di strada, forse poco nobili, ma molto graditi al palato e al portafoglio. “All’inizio pensavo di durare 3 anni al massimo”. E invece non solo i clienti si moltiplicano, ma anche i locali, che diventano due a Rimini e uno a Manhattan, dove suo figlio ha aperto una piadineria. “Qui a Rimini è vietato il lievito. Si usa solo farina, acqua, sale marino e strutto. Quest’ultimo è calato in caldaie aperte, e non ha mai più di venti giorni”. Si può scegliere la piadina ai cereali, quella al rosmarino o quelle all’olio. Per non parlare delle farciture. C’è ogni tipo di ben di dio: salame e pecorino di Pienza, rucola e sardoncini, robiola e la coppa. Solo prodotti di stagione. “Si comincia a lavorare alle 8, ma solo dopo aver valutato la temperatura e il livello di umidità, così da sapere quanta acqua usare. Se si sbaglia si possono buttare via anche 600 pezzi in una volta sola. Con la pasta poi si fanno delle palline da far riposare in frigo”.
Una volta tirate fuori, si stirano e si lasciano riposare ancora. “Devi dar loro il tempo di rilassarsi”. I dischi vengono poi cotti per qualche minuto su lastre di ferro di 7 millimetri, a fuoco violento. Il risultato è un disco dorato, sottilissimo, di 30 centimetri di diametro. Profumato e delizioso. “Il segreto è avere la cura di trattare la pasta come una cosa viva. È questo l’insegnamento più importante che mi ha lasciato mia madre”.
Giulia Zaccariello, il Fatto Quotidiano 1/9/2014