Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 01 Lunedì calendario

ALESSANDRA SENSINI “SI VINCE CON ESPERIENZA E TANTA CREMA SOLARE”

[Intervista] –
Alla fine della chiacchierata, proprio alla fine, dopo aver parlato di correnti, venti, materiali, imprese, carattere e altro, Alessandra Sensini, la velista più titolata e vincente di tutti i tempi, si raccomanda: “Oh, prima di andare per mare, è fondamentale proteggersi con la crema solare, abbondante”. Non lo dice con il tono della mamma, della zia o del medico, ma quello pacato di chi ha esperienza, di chi vive da decenni l’acqua salata e con ogni temperatura; il tono di chi ha affrontato tutti gli oceani con una tavola e una vela; tutti i mari e i laghi sempre con una tavola e una vela. E quindi sa quanto contano gli aspetti pratici nella vita.
A febbraio è stata nominata Direttore Tecnico della Squadra Nazionale Giovanile di vela e responsabile di tutta l’attività Under 16 e Under 19 della Federazione Italiana Vela. Secondo lei, a che età è giusto iniziare?
Tra i sei e gli otto anni, dipende dalla maturità del bambino, magari con un optimist, o un windsurf con tele e tavola proporzionati al piccolo.
Quindi si comincia dopo, rispetto ad altre discipline sportive.
Qui non è il tennis, qui non ci confrontiamo con palline e racchetta; chi sale in barca deve affrontare due elementi come mare e vento, sempre variabili e di difficile lettura.
Ci vuole esperienza.
Molta. Non a caso l’età media in questo sport è di 28 anni, la più alta tra le discipline; devi conoscere ogni campo di regata, ogni sua sfumatura può diventare decisiva per il risultato finale.
Oltre l’esperienza, l’intuito.
E qui esce il bello, entrano in gioco l’interpretazione, insieme a fantasia ed estro. Perché vede, in gara non esiste quasi mai una strada sola, devi trovare la tua.
Sembra la metafora della vita.
In qualche modo lo è, ci sono dei campi di regata nei quali la scelta è quasi obbligata, è disegnata, quindi devi solo seguire; altri in cui esce maggiormente il tuo valore aggiunto.
Una vecchia regola sentenzia: mai dare per scontato il mare.
Mai! Mai sottovalutarlo, bene mantenere un po’ di timore e rispetto, esattamente come per la montagna, è una questione di vita, la troppa sicurezza può far sottovalutare dei pericoli reali.
Ci vuole testa.
Tanta, tantissima. Le racconto un episodio recente: ad agosto ho accompagnato i ragazzi alle Olimpiadi giovanili di Nanjing in Cina, con gare dal 18 al 23 e con 21 segnato come giorno di riposo.
Programma serrato.
Coma accade in queste occasioni, ma il “però” è un altro: ci alzavamo alle sei del mattino per poi affrontare un’ora e mezzo di autobus, in modo da raggiungere il campo da regata entro le otto. Lì gli atleti dovevano aspettare anche fino alle 17 prima di scendere in acqua e a volte c’era così poco vento (solo 3 nodi) da obbligare gli organizzatori ad aggiornare o annullare il programma. Sa cosa vuol dire?
Vince chi resta tranquillo e concentrato.
Esatto. Ma l’attesa fa parte del gioco, devi imparare a gestire, a capire qual è il momento giusto per rilassarti e quello per riscaldarti. Devi capire quando è opportuno mangiare e quando è meglio restare leggeri.
I ragazzi come hanno reagito?
Alcuni li vedevi sotto pressione, bastava guardarli negli occhi. Mica sei in palestra, dove tutto è sotto controllo, hai le comodità, il riscaldamento, la doccia. Noi eravamo sotto dei tendoni, un caldo mortale e buttati a terra.
Lei, da agonista, come combatte o combatteva questi momenti di stallo?
Ne ho passate tante e piano piano ho trovato la mia “cifra”; ho capito quale era il momento per caricarmi con la musica; quello di rilassarmi con un libro; o come, cosa e quando mangiare.
È uno sport per chi se lo può permettere.
In parte è vero, non è proprio a buon mercato, anche perché c’è un dato logistico importante: devi muoverti, devi viaggiare per seguire le varie competizioni.
Oltre all’acquisto dell’attrezzatura.
Il momento critico è il passaggio dalla classi giovanili a quelle olimpiche, lì i costi si moltiplicano.
Qualche esempio?
Per un windsurf circa diecimila euro, ma saliamo, e di molto, con una barca a vela da quattro metri e settanta. Eppoi spesso va aggiornata l’attrezzatura.
Grazie ai suoi successi il movimento ha beneficiato di tanti piccoli “Sensini”.
Io sono di Grosseto e i primi tempi mi ha seguito un gruppo di ragazzi di dieci, dodici anni. È stato bello.
È più difficile imparare a leggere il vento o le correnti?
Sono tutti e due elementi complessi, e come dicevo prima ci vuole tempo e pazienza per capirli, ma credo sia più complicato imparare a interpretare il vento.
Cosa, in particolare?
È sempre diverso e in un attimo può cambiare di consistenza, quindi muta anche la pressione sulla vela. Il mare lo senti e lo vedi di più, a partire da come increspa l’acqua.
Sono importantissimi anche i materiali.
Negli ultimi anni hanno avuto una evoluzione incredibile.
La Coppa America è più estrema della Formula1.
Quello è un altro livello, lì siamo al top, lì la tecnologia è fondamentale.
Mentre nelle classi Olimpiche...
Sono dei monotipo, con regole precise e restrittive, devono emergere le capacità dell’atleta e non del mezzo.
L’ultima moda nel mondo della vela è il kitesurf (una tavola con una vela a forma di “aquilone”). Lei lo pratica?
Certo! Ma guardi, io non sono attendibile, a me basta stare in mare conta solo questo. Comunque lo utilizzo e mi piace ed è anche un po’ più semplice del windsurf. Inoltre occupa meno spazio in automobile.
Qualità fondamentale per un velista?
(Silenzio prolungato) La logica.
Come, scusi?
Un atleta deve essere logico, pratico. La coordinazione passa dalla logica.
Difficile puntare sulla logica anche con i bambini...
In questo caso un istruttore deve guardare all’istinto.
Alessandro Ferrucci, il Fatto Quotidiano 1/9/2014