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 2014  settembre 01 Lunedì calendario

ERAVAMO FORMIDABILI NONOSTANTE I TERRORISTI

[Intervista a Mario Capanna] –
Per parlare di anni Settanta andrebbe stravolto il calendario gregoriano. Bisogna assolutamente partire dal 1968 e, diventa inevitabile che l’interlocutore sia Mario Capanna, il leader del Movimento studentesco. Perché a 25 anni era carismatico, vestiva con l’eskimo e fumava in continuazione Marlboro, rappresentava la forza di piazza unita a un’autonomia intellettuale che nessuno degli altri leader ebbe. Forse lo era Adriano Sofri che a Pisa, da Lotta Continua, e in maniera molto più elitaria e meno pragmatica, diffondeva il verbo. Se c’era un maggio in Italia era Milano, perché la controcultura lì nasceva, perché si respirava un vento mitteleuropeo che altrove non arrivava. Lotta continua, da Pisa a Torino e l’Autonomia operaia di Bologna e Padova, sconfinò ai margini della lotta armata. A Milano non accadde. E come avvenuto in Francia, anni dopo, a parentesi chiusa e verità storico giudiziarie perse per strada, i leader del Movimento diventarono classe dirigente. Come a Parigi. E anche questo ci impone di Mario Capanna che ha fondato ed è stato leader di Democrazia proletaria. Uscì dal movimento extraparlamentare per proseguire in quello che aveva creduto dentro al parlamento. Su questo Sofri fallì.
Capanna, visto che siamo a questo, togliamoci il dente: Sofri è innocente o colpevole?
È stato condannato senza reali fondamenti. Ma non assolvo Lotta continua.
Il pericolo del terrorismo nel Movimento l’avete mai vissuto?
No, nessuno finì nelle Br o in Prima Linea. È un dato.
Forse anche perché a Pisa la polizia spara da subito. Voi, a Milano, andate il 7 dicembre alla Scala a tirare le uova alle signore in pelliccia e finite a parlare coi poliziotti. A Pisa, il 31 dicembre, parte un colpo di pistola e un ragazzo di 17 anni, Soriano Ceccanti, rimane paralizzato.
Alla Scala fu un gesto simbolicamente riuscito su molti fronti. Non ci fu violenza, ma per la prima volta, è vero, parlammo coi poliziotti. Avevano 21 anni, avevano la nostra età. Erano lì, come noi, al freddo. A scortare i signori in smoking per un pezzo di pane. Vi costringono a sparare sui braccianti. Noi avevamo già vinto.
Sofri prende la sua idea e la trasferisce alla Bussola.
La prima volta che incontrai Ceccanti ho pianto come un ragazzino. Lui era in carrozzella, lo abbracciai forte e piansi, piansi molto. Senza dire una parola. Aveva 17 anni. E mi sentivo responsabile. Non l’ho mai detto a nessuno, ma fu uno degli incontri più forti della mia vita quello con Soriano. Dopo ha fatto tutto, con la forza di volontà di un leone, ha vinto molte paraolimpiadi, si è fatto eleggere in consiglio comunale a Pisa, si è sposato due volte, è andato a fare volontariato in Africa. E noi a guardarlo, a bocca aperta.
E’ l’incontro della sua vita?
Uno dei più importanti.
E l’estate della sua vita, quella che non potrà mai dimenticare?
Quella del 1981. Il giorno dei funerali di Michael Doerthy, morto dopo 66 giorni di digiuno in carcere. Chiedevano, lui e gli altri, di non indossare le divise della prigione, di poter ricevere posta, chiedevano – e lui che era stato eletto al parlamento lo fece con una credibilità che diventò internazionale – di non vivere in carcere nelle condizioni disumane alle quali erano obbligati. Il giorno del funerale c’erano cattolici, componenti dell’Ira (Irish Republican Army, ndr) col passamontagna. Una scena tragicamente plastica. I combattenti dell’Ira spararono dei colpi in aria in segno di saluto. Poi fecero sparire le armi e si tolsero i passamontagna, la polizia rimase inerme. Fu un momento di pace. Il più alto livello che la democrazia può raggiungere, la dimostrazione che non si combatte e non si vince a far la conta dei cadaveri.
La sensazione è che le guerre fino a qualche anno fa inorridissero il mondo in maniera diversa. Oggi ci sono scenari aperti ovunque e la sensazione è che tutto sia molto distante. E’ cambiato qualcosa?
Sicuramente, e io che nasco nel 1945 dopo Hiroshima e partecipo al Sessantotto perché l’America si era infilata nella palude del Vietnam lo posso dire senza nessuna autoreferenzialità. Quando papa Bergoglio parla di terza guerra mondiale, sia pure per tappe, dice la verità, e contribuisce a scuotere la coscienza globale. Che non si compra con 80 euro. Sono quisquilie senza importanza.
E le guerre aperte e quelli che vogliono aprire nuovi fronti?
L’argomento è complesso, ma uso poche parole che comprendono anche i bambini: siamo andati a combattere in Afghanistan una guerra ai talebani che avevamo armato noi occidentali dieci anni prima. Oggi stiamo facendo il medesimo errore, la storia non insegna niente.
Un giudizio sugli ultimi governi?
Faccio mie le parole di Luciano Gallino: Berlusconi, Monti, Letta e Renzi sono i governi della catastrofe. Renzi non sarà Berlusconi, ma è Renzi. Eppure sono fiducioso.
In che senso?
Che usciremo anche da questa spirale di crisi, che finito questo capitalismo finanziario che ha arricchito pochissimi e impoverito la massa, finirà e si apriranno nuovi orizzonti.
Siamo alle ragioni simili che accesero gli anni Sessanta e Settanta. Oggi non c’è rischio che l’impoverimento e le guerre portino di nuovo a qualcosa che sfugga poi alle leggi?
La storia non si ripete mai. Ma il rischio che focolai si accendano esiste. E che non stiano necessariamente a sinistra. Anzi, il rischio è l’opposto.
Ma non viviamo una situazione simile a quella che aprì la strada al terrorismo?
No, era diverso. Noi iniziammo a occupare le università dopo che i ragazzi americani, a Berkeley, trovarono la cartolina che li spediva in Indocina a combattere una guerra assurda. E’ la nascita di tutti i movimenti. Poi c’è il 1967 a Trento, il maggio parigino. Ma parlavamo una lingua universale fatta solo di un vocabolario diverso: avevamo le stesse rimostranze che avevano i ragazzi della nostra età a Buenos Aires e a Pechino. Ragioni diverse a Praga, ma stessa voglia di migliorare il mondo.
Il luogo comune vuole che abbiate fallito.
Luogo comune, se ci mettiamo a leggere gli anni Settanta e iniziamo a non ragionare più in maniera affrettata forse si trova un verso. Gli anni Settanta certo, furono la strategia della tensione, il terrorismo. Ma fu anche il referendum sul divorzio e sull’aborto e l’approvazione dello statuto dei diritti dei lavoratori, gennaio 1970, che non ci sarebbe stato senza i ragazzi di allora. Cambiano i costumi, viene messa in discussione un’autorità obsoleta.
L’alba fu piazza Fontana?
Lo Stato deviato. Non c’è dubbio. Ormai è la verità storica che lo racconta, nonostante quella processuale si sia conclusa con un niente di fatto.
Non siamo ancora riusciti a capire come sia morto Pino Pinelli, l’anarchico precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi.
Sappiamo molto però. Sappiamo che Pinelli seguì Calabresi in questura con il suo motorino. Poi accadde qualcosa, ma lì dentro. Pinelli era un povero ferroviere e non seminava bombe. Entro dalla porta e uscì dalla finestra.
Dunque, secondo lei, Calabresi è in qualche modo responsabile di quella morte?
È stato stabilito che non era nella stanza in quel momento, ma fu Calabresi a portare Pinelli in questura, a sospettarlo della strage. Qui mi fermo. Ma questa è la verità.
E dunque Lotta continua su ordine di Sofri uccide Calabresi per risposta, tre anni dopo?
Difendo Sofri, non difendo Lotta continua. Una cosa è la questione processuale di Adriano, altra è quella di Bompressi e Pietrostefani.
Chi erano le menti più brillanti della sua generazione?
Marco Revelli, che fu tra i primi a prendere le distanze dalla violenza. Luigi Bobbio. Alexander Langer, il costruttore di ponti, quelli che servirebbero oggi verso il Mediterraneo. Ci sono anche loro tra le ragioni per le quali ripeto che furono formidabili quegli anni. Finiamola di parlare di terrore e pallottole.
Ma se ne sparavano ogni giorno.
Sì, ma nascevano anche cose come la Lega lombarda. E Bossi non c’entra assolutamente niente, anzi ci dovrebbe i diritti d’autore. Fu il manifesto delle persone, compresi Dario Fo, Giorgio Gaber, Camilla Cederna e mille altri ancora, che contribuirono a bloccare le due centrali elettronucleari in Lombardia che anche il Pci voleva.
Lei Capanna è stato arrestato tre volte. Sempre innocente?
Sì.
Tutti in carcere sono innocenti.
Elenchiamo gli arresti?
Vada.
1969: sequestro di persona. Dicevano che avremmo sequestrato un professore che era rimasto l’unico a segnare il 15 sul libretto degli esami. Gli altri non lo facevano, avrebbero segnato la nostra vita universitaria. Non ne volle sapere. Ci parlammo.
A modo vostro?
Non ci fu violenza.
Nel 1971 l’accusano di falsa testimonianza.
Il giudice Antonio Marini voleva i nomi del servizio d’ordine del Movimento. Non lo sapevo.
Difficile crederle.
Sapevo benissimo, ma se li cercasse lui.
Terza volta?
1973, quando viene ucciso dalla polizia lo studente Roberto Fraceschi alla Bocconi. Volevamo l’aula magna per un’assemblea e ce la negarono. Sequestro di persona.
Quella volta però non si fa beccare Capanna?
No, scappo.
E dove si rifugia?
Il segreto morirà con me. Come insegnano i combattenti partigiani bastava cercare molto vicino, mi avrebbero trovato.
In centro a Milano?
Sì.
Casa di Giulia Crespi, l’editrice che al Corriere chiamavano la zarina? Dicono che Giulia Crespi si occupasse di dar rifugio ai latitanti del Movimento, l’altro editore, Carlo Caracciolo, apriva la sua tenuta di Garavicchio ai ragazzi di Lotta continua.
Il segreto morirà con me. Ma io non ho mai conosciuta la Crespi.
A quasi settant’anni si fanno i bilanci?
Sì, e sono un uomo sereno, aiutato dalla salute. Che ha una sua idea del futuro. Che non fa il quadro appeso alla parete in ricordo dei tempi andati. Presiedo la fondazione che si occupa di diritti genetici, porteremo a Expo uno strumento che mappa le produzioni Ogm e quelle naturali, già in uso in 162 Paesi.
Formidabile Capanna.
La metta come vuole. Sono in pace e nella condizione di non negare niente. Ho pianto per Ceccanti e per l’Ira. Per il resto eccomi qua. Stessa barba, tosse da fumatore. Resto un uomo libero.
Emiliano Liuzzi, il Fatto Quotidiano 1/9/2014