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 2014  agosto 31 Domenica calendario

DOVE VANNO A FINIRE LE SECCHIATE GELATE


Le secchiate d’acqua ghiacciata dell’Ice Bucket Challenge sono state il fenomeno estivo che ha occupato social network e mezzi di comunicazione. La campagna è stata lanciata dalla Als Association, l’associazione più importante che negli Stati Uniti dal 1985 si occupa della lotta contro la sclerosi laterale amiotrofica (Sla o morbo di Lou Gehrig), fornendo assistenza ai malati e allo loro famiglie e sostenendo la ricerca per trovare una cura a questa rara malattia neurodegenerativa.
Artisti, attori, politici, cantanti, sportivi e celebrità di tutto il mondo si sono rovesciati addosso secchi di acqua gelata per sensibilizzare le persone a donare fondi in favore della ricerca contro questa terribile patologia.
La catena di Sant’Antonio è sbarcata anche in Italia con il suo strascico di polemiche, ma anche i critici più feroci devono però ammettere che la campagna è stata un successo: in Italia solo la Aisla, la principale associazione che si occupa di Sla, ha raggiunto 1 milione di euro di donazioni. Un risultato impensabile senza le secchiate.
LE CIFRE
Ma le cifre sono ancora più importanti per quanto riguarda l’Alsa, l’associazione statunitense che ha lanciato la sfida di solidarietà: le donazioni, da parte di tre milioni di persone, hanno superato i cento milioni di dollari e stanno continuando ad arrivare nelle casse dell’organizzazione no-profit.
Per capire l’enorme impatto dell’iniziativa, basta confrontare la somma raccolta quest’anno con quella dello scorso anno: nello stesso periodo nel 2013 l’Alsa ha raccolto meno di 3 milioni di dollari, l’aumento è stato mostruoso e dovuto esclusivamente all’Ice Bucket Challenge.
Ciò che in molti si chiedo no è come verranno utilizzati adesso tutti quei soldi. La risposta dell’associazione, e non poteva essere altrimenti, è: «Investire con prudenza per aiutare le persone con Sla e le loro famiglie, finanziare la ricerca, salvare vite umane».
IL BILANCIO
Ma in che misura e in che modo? Ciò che può aiutare è leggere il bilancio dello scorso anno, disponibile sul sito dell’Alsa, e in particolare il prospetto delle uscite: dei circa 26 milioni di dollari totali spesi nel 2013, il 27 per cento (7,2 milioni) è andato alla ricerca, il 19 per cento (5,1 milioni) in assistenza ai malati e alle famiglie, il 32 per cento (8,5 milioni) in «public and professional education».
Altre due voci consistenti delle uscite, per un totale del 21 per cento sono «fundraising» (14 per cento) e costi di amministrazione (7 per cento). Sul sito dell’associazione sono disponibili anche i compensi dei top manager, che non sono noccioline: ad esempio la presidente e Ceo Jane H. Gilbert guadagna 340 mila dollari l’anno mentre il direttore finanziario Daniel Reznikov si porta a casa 200 mila dollari.
I CONSULENTI
In totale sono quattordici le persone che percepiscono più di 100mila dollari, a cui vanno ad aggiungersi numerosi consulenti esterni che incassano anche oltre i 350mila dollari.
Questo non vuol dire che la campagna dell’Alsa non serva ad aiutare i malati e che i loro dirigenti stiano truffando i donatori: l’Alsa è una delle associazioni di beneficenza più rispettate degli Usa, è considerata dagli osservatori indipendenti come una delle più efficienti e trasparenti (infatti pubblica tutti i dati). Però forse anche dalle loro parti non farebbe male un po’ di spending review.