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 2014  settembre 01 Lunedì calendario

Da martire a campione d’Europa La lunga corsa della Polonia Crescita al 3,3%, recessione evitata. Ora la nomina di Tusk «La vera patria, perduta, si trova nel passato

Da martire a campione d’Europa La lunga corsa della Polonia Crescita al 3,3%, recessione evitata. Ora la nomina di Tusk «La vera patria, perduta, si trova nel passato. Il presente è sentito come esilio» ha scritto il Nobel per la letteratura Czeslaw Milosz, polacco di origini lituane. Un sentimento di sradicamento con il quale ha convissuto per secoli quella parte di Europa dai confini labili che si stende dal Baltico al Mar Nero e che ha trovato nella «polonitas» il bastione di difesa di un patrimonio linguistico e culturale minacciato da tutti i lati. Sopravvissuta a una dolorosa serie di annessioni e spartizioni, la Polonia ha visto germogliare sui propri territori tragedie e grandi imprese. È partita da qui la sfida finale al regime sovietico. Un passato di ferite e persecuzioni che nei 25 anni seguiti alla caduta del Muro è spesso riaffiorato come desiderio di riscatto. Oggi, con la nomina del premier Donald Tusk alla presidenza del Consiglio Ue, la Polonia torna a casa. Nell’Europa unita, da vincitrice. Definitivo riconoscimento del peso specifico di un motore dell’economia e dell’integrazione europee, nella Ue dal 2004, nella Nato dal 1999. Superamento di una soglia politica e psicologica per la nazione degli esuli passati alla storia con nomi orfani del suono delle origini (da Frédéric Chopin a Marie Curie), che dopo la furia della Seconda guerra mondiale ha voluto ricostruire le città rase al suolo esattamente com’erano — vedi Varsavia vecchia ridisegnata sulle vedute settecentesche dell’italiano Bernardo Bellotto. Che con le sollevazioni degli anni Settanta e gli scioperi dei cantieri navali di Danzica del 1980 ha aperto una breccia nel sistema comunista. Per un colpo di teatro della storia il nuovo presidente Ue viene proprio dalla città che ha visto la scintilla dell’ultimo conflitto e i moti guidati dall’elettricista destinato a diventare presidente, Lech Walesa. È qui che il giovane Donald muove i primi passi nel movimento studentesco e poi con Solidarnosc, il sindacato nel quale convergono le grandi direttrici dell’epopea di un popolo stretto intorno a papa Wojtyla e padre Popieluszko, la resistenza all’oppressione e il cattolicesimo militante anima del «Cristo tra le nazioni». Dopo i negoziati della Tavola rotonda, il recupero dell’integrità statuale e il passaggio al libero mercato, le energie sprigionate confluiscono nella «terapia choc» elaborata da Leszek Balcerowicz, un piano radicale di riforme, privatizzazioni e liberalizzazioni che catapulta l’economia pianificata nel regime di concorrenza, con alti costi sociali in termini di disparità e disoccupazione. Il tutto mentre la politica sceglie la via del perdono e della riconciliazione nazionale indicata dal premier Tadeusz Mazowiecki nel celebre discorso della «linea spessa» da tracciare sulle divisioni del passato. Sono anni di trasformazioni che vedono momenti di forte polarizzazione, giunti al culmine nell’era dei gemelli Kaczynski. Dopo le presidenze Walesa e Kwasniewski, i due fratelli raggiungono quasi in contemporanea i vertici del potere, Lech come capo dello Stato e Jaroslaw come premier, dando voce ai settori economicamente più deboli e socialmente più conservatori, preoccupati dal vuoto valoriale spalancato dal capitalismo. Tempo di frizioni con le istituzioni europee e con la vicina Germania, di provocazioni come la proposta di Jaroslaw di includere nei calcoli demografici le vittime della Seconda guerra mondiale. Scosse di assestamento. E nuovi traumi, come il disastro aereo di Smolensk del 2010 nel quale Lech perde la vita insieme ad altre 95 persone, espressione della classe dirigente del Paese. La leadership di Tusk, salito al governo con il partito liberale Piattaforma civica nel 2007, cerca di sedare le tensioni, ricuce gli strappi con Berlino e Bruxelles, usa bene i fondi comunitari, consolida la crescita di un Paese che ha fame di cambiamento e non arresta la sua corsa (e ha evitato la recessione). Resta l’ambizione di riportare a casa i giovani emigrati (la disoccupazione è all’11,9%), oltre a ritardi infrastrutturali e zone d’ombra di una società che fatica a elaborare i contrasti della modernità, come denunciano artisti e scrittori in opere spesso incentrate sui temi della memoria e della ricerca di sé. E le contraddizioni di un’identità frontaliera che si riafferma nella «missione» di contenimento delle ingerenze russe. Con la chiamata di Bruxelles dopo la perfetta partita diplomatica di Varsavia — la staffetta tra il candidato di bandiera Radek Sikorski e il capo del governo —, via al toto premier: in corsa i ministri Tomasz Siemoniak ed Elzbieta Bienkowska, e soprattutto la presidente della Camera Ewa Kopacz. Tra i primi a felicitarsi per il successo di Tusk, con il consueto fair play, Jaroslaw Kaczynski: «Più lontano va, meglio è». Maria Serena Natale msnatale@corriere.it © RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina Corrente Pag. 5 Immagini della pagina 1 Visualizza : Data Contenuti Pubblicazioni Opzioni Zoom