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 2014  settembre 01 Lunedì calendario

«CARI

italiani,
non c’è paese al mondo dove abbia trascorso più tempo in questi anni e quindi vi parlo col cuore. So bene in quale crisi economica vi troviate da tempo. Ora anche la recessione. Sembra che non ci siano soluzioni, molti lo pensano, e invece è un errore. È la scusa di non vuole cambiare niente. La tecnologia sta davvero creando un futuro migliore, una società più giusta dove la creatività e l’operosità saranno premiate. Nuovi posti di lavoro. Ma adesso, prima di ogni altra cosa, vi serve un elettrochoc. Una svolta psicologica.
Dovete passare dal cinismo — che conduce alla disperazione — alla speranza — che fa muovere le cose in fretta e fa ripartire l’economia. Quella speranza si chiama Terza Rivoluzione Industriale e lo strumento per farla è la creazione di una Super Internet, una rete intelligente che consenta lo scambio non solo di informazioni, ma anche di oggetti, grazie alle stampanti 3D, e soprattutto di energia rinnovabile che tutti ormai possono produrre autonomamente. Le tre condizioni fondamentali per questo nuovo paradigma sociale sono già pronte, si tratta solo di collegarle e innescare il cambiamento. Credetemi, nessun paese al mondo è più indicato dell’Italia a prosperare in questa nuova era».
Meno male che c’è Jeremy Rifkin, 69 anni, che ogni tanto arriva da Washington, dove vive, con un nuovo clamoroso libro ad annunciarci la lieta novella. La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del « commons » collaborativo e l’eclissi del capitalismo esce oggi in Italia per Mondadori ma è già stato un successo planetario: best seller negli Stati Uniti e in
Europa per molte settimane, solo in Cina ha venduto oltre 400 mila copie. Ma più dei numeri conta chi lo ha letto: capi di Stato e di governo, leader in cerca di una ricetta per uscire dal tunnel della crisi. Accogliendolo a Venezia per una conferenza all’inizio di luglio, il presidente del consiglio Matteo Renzi lo ha omaggiato così: «Una generazione di italiani è cresciuta con i suoi libri e con le sue idee». Rifkin ha risposto da seduttore: «Spero che vi serva di ispirazione...
».
L’ultimo politico ad essersi innamorato delle teorie dell’economista americano è Sigmar Gabriel, ministro per
gli affari economici e l’energia nel governo tedesco che si è profuso in lodi sperticate per il «grande scenario», «l’approccio visionario» e la capacità di sfidare «l’umore collettivo dominato dall’ansia per il futuro e dal pessimismo ». Detto dal vice cancelliere di Angela Merkel, è molto più di una semplice recensione.
L’economista americano a questo clamore è abituato e anzi è un maestro nel creare un cortocircuito virtuoso fra conferenze, consulenze e progetti, i famosi masterplan con i quali il suo team — il TIR Consulting Group — spiega agli amministratori pubblici come mettere in pratica la visione del guru: creare una Super Internet delle Cose in modo da far spazio ad una società “collaborativa” e superare il capitalismo.
Accanto alle collaborazioni con Unione Europea, Germania, Danimarca e Cina, masterplan sono stati redatti per il principato di Monaco, Utrecht, Sant’Antonio, la Francia del Nord (Calais) e persino per la città di Roma, anche se quest’ultimo è finito in un cestino: «Peccato, era un piano dannatamente bello. Me lo aveva chiesto il sindaco
Alemanno, spero che qualcuno lo
riprenda in mano».
Sono trascorsi 40 anni dal suo primo libro: How to Commit Revolution American Style . Era il 1973, lei aveva convinto migliaia di persone a bloccare il porto di Boston contro le compagnie petrolifere. Sono seguiti ventidue libri, e ogni volta c’era un futuro a portata di mano: non la fa un po’ troppo facile?
«Non ho rimpianti per quello che ho previsto. La vita è un percorso di apprendimento continuo e si impara più dai fallimenti che dai successi, ma credo di averci azzeccato spesso: la crisi
dei combustili fossili non me la sono inventata, e nemmeno lo sguardo critico sul biotech e gli Ogm. Quando poi ho scritto che con la robotizzazione un certo tipo di lavoro sarebbe scomparso, un celebre settimanale in copertina scrisse vedremo se ha ragione.
Qualche anno dopo ha fatto un’altra copertina per dire aveva ragione. Eppure non sono un indovino».
Non è neanche fortuna, immagino.
«No, sono mindful. Sono attento ai particolari. Vedo le cose ovvie che altri sottovalutano. Vedo le opportunità. L’Internet delle Cose, per esempio, mica l’ho inventato io. Se ne parla da anni,
ma nessuno aveva detto quali effetti comporterà per le nostre vite. Per esempio il fatto che da lì verranno i nuovi posti di lavoro che state cercando ».
Ma non c’è un eccesso di ottimismo nelle sue visioni?
«Non credo. Basta essere determinati. E comunque ci saranno rallentamenti, passi falsi, problemi. Ma davvero qualcuno crede che possiamo restare gli stessi nei prossimi 50 anni? Che usciremo dalla crisi con le stesso modello economico con il quale ci siamo entrati? Che il petrolio e i combustibili fossili continueranno ad essere il motore del mondo? Le riforme di cui parlate in Italia e in Europa sono necessarie, ma non sufficienti a farvi ripartire. Serve una nuova visione del mondo che metta assieme i tre cambiamenti in corso. È sempre stato così del resto. Nella prima rivoluzione industriale furono decisivi il motore a vapore, il telegrafo e la ferrovia; nella seconda l’elettricità, il telefono e il petrolio. Anche adesso si sta verificando la convergenza di tre elementi: la comunicazione,
l’energia rinnovabile e i trasporti guidati dai satelliti. Ma per entrare davvero nell’economia digitale, serve una infrastruttura potente,
una Super Internet».
Sembra un libro dei sogni. Realizzabili, forse, ma lontani no?
«La Germania si sta muovendo molto aggressivamente in questa direzione: il 27 per cento della sua produzione di energia viene dalle rinnovabili. E in Cina si sono impegnati a spendere 82 miliardi di dollari in 4 anni per creare una Super Internet dell’energia. Milioni di cinesi produrranno la propria energia rinnovabile col sole o col vento e se la scambieranno come oggi ci
scambiamo una email».
Curioso che proprio in America lei oggi sia meno ascoltato da chi decide.
«È una terribile ironia. Ma se uno va negli Stati Uniti oggi può sentire l’odore del vecchio mondo. Sembrano un paese stanco, che non ha più voglia di rischiare, terrorizzato di spendere soldi pubblici. Si sono innamorati dell’idea di estrarre energia fracassando le rocce, lo shale gas, invece che dalle fonti rinnovabili. Ma così facendo fra dieci anni diventeranno un paese di seconda fascia».
Veniamo all’Italia: la sua rivoluzione costa e con il debito pubblico che abbiamo chi dovrebbe pagare la Super Internet?
«Costa meno soldi di quel che immaginate. Molte cose già esistono, basta collegarle. E poi dire che non ci sono soldi per investimenti è una scusa. Ce ne sono tanti fra fondi europei, regionali, capitali privati. Basta indirizzarli in una visione. Fatelo e in 24 mesi vedrete i primi risultati».
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Non usciremo dalla crisi con lo stesso tipo di sviluppo che conosciamo
“Occorre passare dal cinismo, che porta alla disperazione, alla speranza, che fa ripartire tutto”
“Le condizioni per il nuovo paradigma sociale sono pronte, serve collegarle e avviare il cambiamento”
IL LIBRO
La società a costo marginale zero
di Rifkin ( Mondadori, pagg. 504, euro 22)