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 2014  settembre 01 Lunedì calendario

VERSO la fine del più bel discorso politico della Storia, l’Elogio funebre dei caduti ateniesi pronunciato da Pericle e raccontato da Tucidide, il leader ateniese ricorda: «I loro figli da oggi saranno mantenuti a spese dello Stato fino alla virilità: è questa l’utile corona che per siffatti cimenti la città propone e offre a coloro che qui giacciono e a quelli che restano»

VERSO la fine del più bel discorso politico della Storia, l’Elogio funebre dei caduti ateniesi pronunciato da Pericle e raccontato da Tucidide, il leader ateniese ricorda: «I loro figli da oggi saranno mantenuti a spese dello Stato fino alla virilità: è questa l’utile corona che per siffatti cimenti la città propone e offre a coloro che qui giacciono e a quelli che restano». Ed in cosa consisteva questo sostegno alla paideia degli orfani di guerra? Nell’equivalente del buono-scuola: lo Stato pagava i pedagoghi che la famiglia avrebbe scelto. E gli orfani Spartani (o meglio Spartiati)? Nessun problema: l’ agoghé, vale a dire il sistema educativo della città lacedemone, prevedeva che il ragazzo fosse fin da piccolo affidato alle cure dello Stato e sottratto alla famiglia per diventare un guerriero. Quali siano stati i prodotti culturali dei due sistemi educativi per noi contemporanei è ormai facile giudicarlo, eppure tutt’oggi c’è chi appassionatamente difende una scuola statale, uguale per tutti ed in tutto, guardando con fastidio ad ogni interferenza privata. In Italia il rifugio degli apologeti di Sparta è l’articolo 33 della Costituzione che recita: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Naturalmente si tratta di un appiglio formalistico, senza contare che “istituire” non vuol dire “gestire” né finanziare direttamente gli alunni. Arriviamo all’oggi. Il governo Renzi vuole avviare un grande processo di consultazione per attuare una riforma della scuola “non calata dall’alto” ma che valorizzi il merito e l’autonomia. Il ministro Giannini ha usato toni favorevoli alle scuole paritarie, sempre nell’ottica della concorrenza e del merito. Allora, visto che ci si è presi una pausa di riflessione prima di varare il riordino del sistema educativo italiano, si potrebbe consigliare sia al ministro che al premier di ascoltare poco i sindacati dei produttori (insegnanti e personale non docente), di capire cosa preferirebbero i consumatori (le famiglie) e di guardare alle esperienze positive fatte all’estero. Basta volgere lo sguardo verso Stati Uniti, Gran Bretagna, Svezia e persino Cile, Paesi che da anni sperimentano con successo sia il sistema dei buoni-scuola che quello degli istituti indipendenti ( charter school in America e free school oltre Manica). Le charter e le free school sono promosse da fondazioni, benefattori, gruppi di genitori e a volte anche da enti commerciali. Ricevono finanziamenti statali in proporzione al numero di studenti che attraggono e godono di libertà organizzativa (come assumere, premiare o rinunciare al personale) e di una certa creatività curricolare. Gli studi relativi ai risultati accademici non sono univoci: in qualche caso non si notano differenze con le scuole pubbliche, in altri miglioramenti e comunque mai peggioramenti. Risultati positivi si riscontrano in aree come l’integrazione razziale, i servizi a studenti disabili e la sicurezza. Certamente queste scuole funzionano meglio proprio per i figli delle classi più disagiate e il costo per allievo è inferiore a quello del sistema pubblico. Inoltre, se il mercato “vota con i piedi”, il verdetto per questo genere di istituti è chiaro: ovunque ci sia la possibilità i genitori accorrono ad iscrivere i loro figli e la sperimentazione, quando non è ostacolata da politici e sindacati degli insegnanti, cresce a vista d’occhio. Lo stesso discorso si può fare per i voucher, vale a dire un “buono” che l’autorità pubblica assegna a ciascun allievo in Svezia, Cile e in alcuni Stati Usa, spendibile in qualsiasi scuola, pubblica o privata. È il modo più semplice per far sì che gli istituti privati non siano prevalentemente per le famiglie più agiate, ma per tutti, scremando pure quei diplomifici utilizzati solo per far andare avanti i figli fannulloni dei benestanti che “comprano” la promozione che non riescono a ottenere nella scuola pubblica. La competizione fa inoltre sì che emergano soluzioni innovative che possono essere imitate anche da altri. Ad esempio, le charter school di successo anche dal punto di vista dei risultati accademici di Chicago, Washington e New York sono progressivamente imitate in tutto il Paese. La vuota retorica che parla di “sottrazione di risorse alla scuola pubblica” non tiene conto che se insieme ai soldi si trasferisce verso il privato anche l’alunno, in realtà gli istituti statali hanno bisogno di meno risorse. Grande tuttavia è la paura di perdere discepoli, perché il personale incompetente o poco diligente del sistema pubblico si potrebbe rivelare superfluo. I test Invalsi vanno bene per fotografare la situazione, gli aumenti di stipendio per chi lavora di più è un primo passo, la responsabilizzazione di presidi, dirigenti scolastici e famiglie nel giudicare la performance di maestri e professori è un’ottima idea. Ma niente come la concorrenza riesce ad aguzzare l’ingegno, stimolare la produttività, premiare i capaci e i meritevoli, emarginare gli inadatti e i lazzaroni e, soprattutto, dare al Paese studenti migliori. D’altronde, il mélas zomòs , il brodo nero spartano, diciamoci la verità, faceva veramente schifo.