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 2014  agosto 31 Domenica calendario

«MA È ASSURDO VOLER INGABBIARE UNA MAGIA IN UN CAMPIONARIO»

«I colori sono ribelli, difficili da definire. Per questo la classificazione di Pantone si illude inutilmente d’ingabbiare la natura». Per Michel Pastoureau, il grande specialista della storia sociale dei colori, la nomenclatura inventata mezzo secolo fa dall’azienda americana è solo una tra le tante possibili e non può avere pretesa di verità assoluta. «Dato che sfrutta una dimensione scientifica, vale a dire lo spettro dei colori che compongono la luce, la classificazione di Pantone tende a presentarsi come una certezza universale. Ma non è così. Anche perché le pratiche sociali del colore funzionano molto diversamente», ci dice lo studioso francese che ha da poco pubblicato Verde. Storia di un colore (Ponte alle Grazie). «Certo, i suoi codici possono essere utili dal punto di vista pratico, perché consentono d’intendersi a distanza sulla stessa sfumatura di colore. Da qui il suo successo.
Ma non ha senso pretendere di definire esattamente le frontiere tra una tonalità e l’altra. Il colore è un continuum. Inoltre, è assurdo proporre mille e settecento diverse tonalità, giacché l’occhio umano non può distinguerne più di trecento e le lingue non hanno i vocaboli necessari per nominarle. Senza dimenticare che i colori cambiano a seconda delle ore, della luce e di chi li guarda. Insomma, la classificazione di Pantone è un’illusione, è l’espressione di una forma di scientismo che da Newton arriva fino ai giorni nostri. È solo
una convenzione per provare a definire e classificare i colori».
Altri tentativi di classificazione?
«In Europa, almeno fino al XVII, abbiamo utilizzato la classificazione di Aristotele che è radicalmente diversa da quella di Pantone, anche perché, a differenza dell’azienda americana, considera il bianco e il nero come due colori a tutti gli effetti. La storia dell’arte fino al Rinascimento deve essere considerata tenendo conto di questa classificazione. I pittori partivano da Aristotele e non dallo spettro dei colori della fisica, che non conoscono. Un altro esempio riguarda alcune culture africane che, per classificare i colori, si appoggiano sulla materialità più che sulle tonalità cromatiche, insistendo su carattere secco o umido, liscio o ruvido, duro o morbido di un colore, mentre è indifferente che un colore si avvicini di più al rosso o al giallo. Ma si pensi anche alla convenzione per cui noi oggi consideriamo il blu un colore freddo e il giallo un colore caldo, mentre ancora all’inizio del XIX secolo, nella sua Teoria dei colori, Goethe considerava il blu un colore caldo e nel Medioevo il giallo era considerato piuttosto freddo».
Da dove vengono i nomi dei colori?
«Per quelli fondamentali — rosso, blu, giallo, verde, bianco o nero — non possiamo dirlo con precisione, anche perché i loro nomi non rimandano ad alcun elemento del reale. Altri invece si rifanno ad aspetti della realtà come fiori, frutti, minerali: rosa, arancio, viola o marrone nascono così».
Chi definisce e nomina i colori?
«Storicamente, i tintori e i mercanti di stoffe. I pittori lo hanno fatto solo in alcuni casi per alcune tonalità particolari. Ciò si spiega col fatto che nell’antichità il mondo della pittura era assai ristretto, mentre l’artigianato riguardava una parte più vasta della società.
L’economia viene prima dell’arte. Non a caso tra i latini il vocabolario dei colori dei tintori è molto più ricco di quello dei pittori».
Sono nominati diversamente anche secondo il contesto...
«Gli esempi non mancano. A differenza di quanto avviene da noi, in Africa si riconoscono molte diverse sfumature di marrone, tutte definite da una diversa parola. E in Giappone si distinguono diversi tipi di bianco o di rosa con altrettanti vocaboli. Alcune società utilizzano la stessa parola per il verde e il blu, mentre per noi sono due colori diversi. In francese, a differenza dell’italiano, c’è una sola parola per indicare il blu e l’azzurro. Da queste differenze nascono evidentemente moltissimi problemi di traduzione. Tutte le teorie dei colori si sono sempre rivelate inadeguate. Motivo per cui oggi prevale un certo relativismo culturale, che alle teorie generali preferisce una somma di convenzioni legate a contesti specifici. Così, per definire il colore si fa appello di volta in volta a criteri diversi, alla materia, alla luce, alla percezione, alla linguistica, ecc., anche se alla fine, più semplicemente, i colori dovrebbero essere considerati solo dei concetti che servono all’uomo per ordinare e classificare il reale. Insomma, nei colori c’è sempre qualcosa d’imprendibile e sfuggente, ma questo è proprio il motivo del loro fascino e della loro magia».