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 2014  agosto 31 Domenica calendario

DAL NOSTRO INVIATO

VENEZIA .
«Tutti i giorni mi chiedo se è il momento di smettere. L’ho fatto anche stamattina, ma poi ho visto tutti voi e mi sono detto: be’, l’aereo della mia carriera non sta ancora atterrando ». Al Pacino e il suo mito sono alla Mostra: fan di tutte le età in coda dalle 7 del mattino, vaporetti diretti al Lido presi d’assalto, flash, autografi, strette di mano e abbracci con l’attore.... A certificare che Michael Corleone, Serpico, Scarface sono passati indenni dagli schermi del cinema di una volta ai tablet di oggi. E il “mito” scherza: «Vi piace il mio nuovo taglio di capelli?», dice ai fotografi. Con i suoi 74 anni, l’aria svagata, Al Pacino ha portato al Lido due film: The Humbling (fuori concorso) e Manglehorn (in gara per la 71esima mostra del cinema) e di entrambi è il motivo essenziale, se non l’unico, d’interesse. In Manglehorn del giovane David Gordon Green è un fabbro che rimpiange l’amore di un tempo e si chiude agli altri, in The Humbling L’umiliazione , dal bel romanzo di Philip Roth, diretto da Barry Levinson è un grande attore di Broadway che ha perso il talento, tenta una vita ordinaria e cade nella depressione. Come è successo a tanti, da Vittorio Gassman che Pacino ha sempre ammirato e che studiò per (ri)fare Scent of a woman (Profumo di donna) a Robin Williams, con il quale girò Insomnia di Christopher Nolan. «Se anch’io sono depresso? Non vedo come a volte non si possa non esserlo. Ma non ne sono consapevole. Quanto ai personaggi dei film quelli di oggi non sono più depressi di quelli di una volta. Se ripenso a Il padrino, anche Michael Corleone poteva essere un depresso». Ammette che «l’inquietudine dell’essere umano fa parte di ciò che siamo. Drammi, droghe, successo, insuccesso... la vita diventa un peso che tutti portiamo. Gli attori poi, li immaginiamo sempre glamour e brillanti, ma non è così.». Al contrario dei personaggi dei suoi film, per Al Pacino non ci sono rimpianti: «Perchè so di essere stato fortunato, so da dove vengo e qual è il mio passato». L’Actor’s Studio l’ha salvato dalle strade del Bronx: «Era ed è un luogo incredibile, di vera sperimentazione, una casa per gli attori. Mi dava la possibilità di avere soldi e scarpe. E la fondazione James Dean mi forniva un tetto,
perchè non avevo nemmeno cinquanta dollari per l’affitto a New York. All’Actor’s si esaltava la massima di Tennessee Williams, che dipendiamo dalla generosità degli altri». Dopo Peter Bogdanovich, anche Pacino prende le distanze dalla Hollywood di oggi, «non ho mai avuto molto a che fare con gli studios. Una volta a Hollywood c’era uno scambio di idee, uno spirito che oggi sembra perso. Le cose cambiano, ci sono persone diverse. Non ho niente contro i blockbuster, ho visto I guardiani della galassia con i miei figli e mi è piaciuto. Ma io non sono un attore che va bene per quelle cose, anche se mi sono divertito a fare Dick Tracy”.
Alla Mostra del cinema di Venezia Alfredo James Pacino si sente e si dice a casa sua: «L’Italia è la mia patria, mi sento a mio agio, qui, mi sento ispirato: un festival coerente che resta ancorata al concetto dell’arte. Girando The humbling L’umiliazione, Levinson ed io avevamo ben presente quel senso di sperimentazione che appartiene al cinema italiano. E ho ricordi bellissimi di quando ho girato Il mercante di Venezia . I mesi di riprese furono magici. Poi alla festa dell’anteprima servirono piatti del quindicesimo secolo, e devo dire che quasi mi piacevano più di quelli contemporanei», sorride, «se riuscivi a superare una certa resistenza all’aspetto non invitante, scoprivi che la carne di montone era buonissima ».