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 2014  agosto 31 Domenica calendario

La mano sul cuore, durante la Brabançonne. Gli occhi lucidi sopra l’abbronzatura da ciclista. E il morso alla medaglia d’oro di campione del mondo junior a cronometro, dopo aver divorato 22 km alla media di 48,5 all’ora

La mano sul cuore, durante la Brabançonne. Gli occhi lucidi sopra l’abbronzatura da ciclista. E il morso alla medaglia d’oro di campione del mondo junior a cronometro, dopo aver divorato 22 km alla media di 48,5 all’ora. Roba da grandi al primo anno nella categoria. Fedele com’era all’iconografia classica del futuro campione, quel cucciolo di corridore, a 17 anni, era sembrato a tutti il degno pronipote di una generazione di fenomeni cresciuta in scia all’inventore delle due ruote in Belgio: Edouard Louis Joseph Merckx, detto Eddy. Firenze, un anno e qualche spicciolo fa. Igor Decraene da Waregem, Fiandre Occidentali, avrebbe difeso il titolo il prossimo 23 settembre al Mondiale di Ponferrada, in Spagna, dove sarebbe arrivato da grande favorito e aspirante Cannibale. Troppo, forse, tutto insieme, da reggere. Quando ieri è rimbalzata l’eco di un gravissimo incidente stradale a Zulte, non lontano da Waregem, durante un allenamento nella giornata di venerdì, abbiamo pensato alla proverbiale sfiga del ciclista: il portoghese Agostinho che ci rimette la pelle cercando di evitare un cane (Giro dell’Algarve ‘84), Marco Pantani che si schianta per colpa di un gatto che gli attraversa la strada (Giro d’Italia ‘97), Chris Froome che scivola sul bagnato e abdica all’ultimo Tour, consegnandolo a Vincenzo Nibali. Decraene, aggravatosi, è morto in ospedale nella notte. La verità era peggio, se possibile, però. Nessun gatto. Suicidio. Sul morale a terra di un ambiente già annichilito dalla scomparsa della biker olandese Annefleur Kalvenhaar, 20 anni, lo scorso 23 agosto in una caduta in Coppa del mondo, è piovuta la pietra dell’agenzia Belga, l’Ansa del Grande Nord, che citando buone fonti conferma: Igor Decraene si è tolto la vita a Zulte. Senza fornire dettagli e, apparentemente, senza spiegazioni. In queste ore di buio pesto, compagni di squadra e direttori sportivi rispondono increduli alle domande dei cronisti belgi, in cerca del bandolo della matassa. «Viviamo l’immenso dolore per la morte del nostro campione del mondo, vittima di un terribile incidente» scrive, vaga, la Tieltse Rennersclub, il team amatoriale di Igor, su Facebook . Difficile capire. Impossibile spiegare. Decraene era reduce da un ritiro con la nazionale, conferma la Federciclismo belga, per preparare il Mondiale di Ponferrada. «Igor era un ragazzo ben educato e con i piedi per terra. Aveva una voglia matta di correre in Spagna e tenersi l’oro vinto a Firenze — racconta incredulo il direttore sportivo Koen Dutroit —. Diceva che era pronto a centrare un altro grande risultato». E ancora più stupefatto è Patrick Lefevere, patron dell’Omega Pharma Quick Step, la squadra professionistica che aveva messo sotto contratto il belga appena due settimane fa, intravvedendo in lui la luce del fuoriclasse da traghettare, a piccoli passi, dalla categoria giovani alla vasca dei pescecani della strada. «Sono stato a casa sua, ho conosciuto i genitori, ho guardato dentro due occhi azzurri che scrutavano il futuro con grande curiosità...» balbetta oggi Lefevere. Una scommessa quasi sul sicuro, la sua: Igor, considerato una delle più grandi speranze del ciclismo belga, in questa stagione aveva dovuto rinunciare all’Europeo di luglio per un infortunio al ginocchio ma aveva dimostrato di essere tornato in forma piazzandosi secondo alla Coppa del Belgio ad Angreau, dieci giorni fa. Aspettando di saperne di più, se sapere ormai ha un senso, per il mondo del ciclismo parla Johan Museeuw, ex campione del mondo belga, l’idolo a cui Igor Decraene avrebbe tanto voluto somigliare. «Senza voce e senza parole» ha twittato. Su YouTube , a imperitura memoria, resta il video della crono del cucciolo di campione che non ha voluto diventare grande, tenendosi a 18 anni e 152 giorni l’oro al collo e tutta la vita dentro. Gaia Piccardi