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 2014  agosto 23 Sabato calendario

NON SOLO EBOLA

Non c’è solo l’allarme per il morbo di Ebola a preoccupare la comunità medica internazionale. Quella anglosassone, per esempio, sta usando parole pesanti come sassi, a volte insulti, nei confronti del celebre collega Yoshihiro Kawaoka, virologo dell’Università del Wisconsin-Madison, superesperto oltre che di Ebola anche di influenza aviaria. L’hanno definito incosciente e ambizioso come un demonio. Perché “colpevole” di aver ricostruito in laboratorio un virus contro il quale gli anticorpi umani non hanno difese e che assomiglia per il 97% a quello della famigerata influenza spagnola, responsabile di aver ammazzato, nel 1918, 50 milioni di persone. Non solo, lo scienziato avrebbe poi studiato come render la sua “creatura”, per ora testata sugli animali, sempre più trasmissibile attraverso la respirazione, in modo da poterne prevedere il contagio anche tra gli umani.
Va detto che Kawaoka non è nuovo a queste alzate di scudi, che spesso coinvolgono anche l’olandese Ron Fouchier, dell’Erasmus Center di Rotterdam, virologo altrettanto stellare e altrettanto accusato di “disinvoltura” (starebbe litigando con la comunità scientifica araba per aggiudicarsi la proprietà intellettuale del test diagnostico della Mers, la nuova terribile Middle East Respiratory Syndrome coronavirus, esplosa in Arabia Saudita, Giordania, Libano, Qatar, Yemen, Filippine, Malesia, Kuwait, Tunisia, Egitto...). Per “colpa” dei due, le più autorevoli riviste scientifiche d’America si sarebbero viste arrivare lo stop governativo: troppo pericoloso pubblicare nei dettagli la spiegazione di ciò che avviene nei laboratori di massima biosicurezza, potrebbero approfittarne i bioterroristi. Un precedente imbarazzante, per la stampa scientifica.
Certo, virus e batteri oggi tengono banco, allarmano e
angosciano come non mai. Meglio, come in epoche lontane. Ma Fabrizio Pregliasco, virologo del Dipartimento di scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, nonché sovrintendente sanitario dell’Istuto Galeazzi di Milano, vede le cose con maggior serenità. «Non mi scandalizzarei, sono studi a cui si sta lavorando da tempo. Fondamentali per capire i motivi grazie ai quali i vari virus hanno una diversa patogenicità, e cioè una diversa “cattiveria”. Tanto più che l’H1N1, il sottotipo del virus dell’influenza A che tanto appassiona Kawaoka, ha già creato nel 2009 un problema che ha travolto la comunicazione: un cortocircuito mediatico ha dato il via a un piano pandemico, peccato che il virus si è poi rivelato più “buono” del previsto. Ecco, preso atto della nostra incapacità di governare totalmente la natura, la trasparenza è sempre utile. Guai a impedire un ambito di conoscenza».
Semmai la paura di epidemie e pandemie, più che stigmatizzare l’operato degli scienziati abili nella genetica inversa e più che minacciare furti e smarrimenti di fiale ultraletali (che peraltro ci sono stati!), dovrebbe spingerci verso l’analisi di un mondo che sta cambiando
sempre più in fretta. Perché alla sua stessa velocità se non di più, stanno cambiando anche i virus e i batteri. «Oggi siamo preoccupati dall’impennarsi delle malattie infettive. Ma cos’è successo realmente? È successo che fino agli anni 80 il mondo occidentale era sinceramente convinto di averle debellate per sempre. Peccato che poi l’Hiv lo abbia svegliato di soprassalto dal bel sogno. E abbia ricordato una volta per tutte che tra noi e gli agenti patogeni c’è e ci sarà sempre una guerra tipo guardie-e-ladri in continuo divenire. Una sorta di gioco, che ha un suo senso preciso nell’equilibrio ecologico.
Certo, un gioco che noi stiamo... forzando, e che stentiamo a capire quando si ammalano troppe persone, magari qualche congiunto o qualche amico», spiega il professor Pregliasco.
Ed ecco che anche questo “gioco ecologico” ha i suoi campioni del momento. A volte batterici, a volte virali.
A volte “vecchi” e ritornati vincenti. A volte nuovissimi o apparentemente tali. Tra i primi, la tubercolosi, il mal sottile di ottocentesca memoria che snocciola dati allarmanti (8,6 milioni di malati e 1,3 milioni di decessi nel 2012, 450 mila persone nel mondo colpite dalla sua inedita forma multi-resistente alle cure, detta TB-MDR). «Pensiamo alle polemiche che stanno agitando la realtà italiana. Certo, gli emigrati possono ammalarsi di Tbc 10-25 volte di più di un italiano. Ma non dimentichiamoci che da noi arrivano sani, altrimenti non potrebbero sopravvivere all’esodo: è il fatto che siano costretti a vivere come vivevamo noi un secolo fa che li porta a contrarre l’infezione. Insomma, ecco il ristabilirsi di un equilibrio ecologico», dice Pregliasco. Il quale passa poi a analizzare proprio l’attuale andamento dell’Hiv, primo
spauracchio dell’era contemporanea. Tra l’altro, il quotidiano inglese The Independent riporta serie previsioni di una nuova pandemia nei prossimi 20 anni, dovuta anche all’insorgere di una resistenza ai farmaci. «Mi preme sottolineare che con le terapie efficaci si è abbassato il livello di attenzione. E questo ha portato a una sua crescita. Da un lato abbiamo la promiscuità sessuale degli omosessuali più giovani, oggi socialmente “sdoganati”; dall’altro il fenomeno dei 50enni con disponibilità economiche e dediti al sesso a pagamento...».
Tubercolosi e Hiv, spesso diventati l’una una complicanza dell’altro, non sono però gli unici morbi “aggiornati”, molto o leggermente, da monitorare con preoccupazione. Nel conto dobbiamo mettere la malaria, che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2011 avrebbe colpito 124.153.005 persone, soprattutto nell’Africa subsahariana (un malato ogni 15 abitanti nella Repubblica democratica del Congo, uno ogni 5 nel Burundi). «Ci deve preoccupare il fatto che i cambiamenti
climatici stiano trasferendo le malattie tropicali anche nelle zone più salubri del pianeta», commenta a riguardo Fabrizio Pregliasco.
E poi la peste, il cui batterio si trasmette all’uomo attraverso le pulci dei roditori (400 casi nel 2012, in Madagascar, Congo, Tanzania e Perù; in Cina è appena stato messo in quarantena il centro storico di Yamen, Cina nordoccidentale, dove un giovane è morto di peste bubbonica). E la lebbra, curiosamente arrivata nei paesi sviluppati, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Usa (168 casi nel 2012). Poi i Flavivirus, che causano febbre gialla ed epatite virale C, che oggi infetta 300 milioni di persone e ne uccide 1,5 milioni ogni anno. Per non dire del morbillo, che doveva esser debellato entro il 2015 e che invece, solo in Italia, l’anno scorso ha fatto ammalare 7200 persone. Colpendo adolescenti e giovani adulti, spesso ospedalizzati. O della poliomielite, ricomparsa in Siria.
Detto questo, la paura dell’ignoto scatena il terrore delle nuove pandemie globalizzate, le malattie infettive emergenti. Per oltre il 60% dei casi generate dalla cosiddetta zoonosi, cioè il passaggio degli agenti patogeni dalle specie animali agli umani. «Il virus cerca continuamente nuovi mercati di espansione. Lo può fare con intelligenza, duttilità e capacità di controllo, come nel caso dell’influenza, o con stupidità, vedi l’Ebola, che uccide troppo e quindi non riesce a evolversi», spiega Pregliasco. In questa sua ricerca di nuovi mercati, un virus “intelligente” oggi può contare sulla scomparsa di
molte biodiversità e di aree tradizionalmente selvagge del
mondo: messa in minoranza la grande fauna, aumentano i contatti con i piccoli animali che fanno da “veicoli”. L’uomo arriva a toccare aree mai contaminate dalla globalizzazione, dove, probabilmente, i virus avevano prodotto una loro immunizzazione, un loro adattamento, l’una e l’altro oggi rimescolati.
Ed ecco che da Ebola, malattia che probabilmente arriva dai pipistrelli e riguardo alla quale l’Oms registra un’epidemia in Guinea e il contagio in Sierra Leone e Liberia, si parte con il grande incubo delle nuovi febbri emorragiche. Fanno parlare la Dengue, trasmessa dalla zanzara Aedes Aegypti, che ha preoccupato durante i Mondiali di calcio, perché sarebbe stato facile contrarla a Fortaleza, Natal e Salvador, nel Nordest del Brasile, proprio nei periodi delle partite; l’encefalite da West Nile; l’Hantavirus diffuso da roditori infetti (allerta in Cile); la febbre di Lassa, la terribile Nipah, che “parte” dai pipistrelli della frutta e che forse comincia a “specializzarsi” da uomo a uomo; la Febbre di Marburg, al centro di promettenti scoperte scientifiche. E poi c’è il caso della Chikungunya (epidemica nei Caraibi e a Cuba), che, “grazie” alla zanzara tigre, sta diffondendosi in tutti i continenti.
Ma un record mediatico l’hanno in effetti guadagnato altre nuove infezioni. Si diceva della Mers, comparsa in Medioriente solo un paio di anni fa, causata da un coronavirus (incriminati i cammelli) che, al 16 maggio di quest’anno, ha infettato 614 persone, di cui 181 morte. Il mistero e la virulenza che la circondano hanno preoccupato i pellegrini alla Mecca. Poi c’è il morbo di cui sarebbe una versione rinnovata, la Sars, comparsa per la prima volta nel Guangdong nel 2002.
Bene, e qui bisogna ritornare ai laboratori di massima sicurezza: da uno di questi, l’Institut Pasteur di Parigi, sono appena sparite nel nulla più di duemila fiale contenenti il virus. Probabilmente non c’è da preoccuparsi, non avrebbero più potenziale infettivo: ma il giro del mondo che ha fatto la vicenda la dice lunga sulle nostre paure. «In verità, di nuovi virus non ce ne sono molti in circolazione», dice Pregliasco. Ma la cosa non ci consola.