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 2014  agosto 23 Sabato calendario

IL CAMALEONTE DALEMIANO CHE SBAGLIA PREVISIONI E VUOLE FUGGIRE DA RENZI

Chi lo frequenta dice che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, uomo ironico e bonario, sia ultimamente ingrigito e in preda ad avvilimento. Sembra che le incomprensioni con Matteo Renzi siano allo zenit, nonostante che tra i due corra simpatia. Si incontrano settimanalmente, affiancati dai rispettivi staff, ma i tentennamenti del premier e dei suoi, le loro confuse pretese in contrasto con le precedenti, generano una babele di linguaggi. La distanza tra il politico Renzi e il tecnico Padoan emerge in un momento cruciale. Sono infatti i giorni per la messa a punto della legge di Stabilità - l’ex Finanziaria - e lo sballottato Padoan non sa che pesci prendere. Per lo sconforto, stando ai giornali, avrebbe detto: «Sto infangando trent’anni di onorata carriera. Ho gran voglia di mollare». Per gli esegeti del padoanismo, l’indizio più sicuro che Pier Carlo sia di umore tetro sono le cravatte. Influenzato dagli anni trascorsi in Usa (è stato direttore Fmi dal 2001 al 2005), Padoan aveva fino a ieri il vezzo di indossare cravatte americane che stanno alle nostre come un sombrero a un Borsalino. Le sue, con tinte accese da pappagallo brasiliano, gli davano l’aria di un turista yankee venuto a Roma per comprare il Colosseo ma esprimevano la sua schietta gioia di vivere l’esperienza da ministro. Oggi che invece ha ripiegato su cravatte da travet color crisantemo, si capisce che, tra crisi economica e dilettantismo renziano, ha perso la bussola. Adesso ha un sogno: uscire dal ministero di Via XX Settembre senza perdere la faccia. La speranza è che a fine mese, al vertice Ue, la candidatura di Federica Mogherini al Pesc sia fatta a fette e l’Italia debba ripiegare su una poltrona economica in Commissione. Ruolo impensabile per Mogherini che per contare usa il pallottoliere. Potrebbe invece essere l’occasione per una partenza di Padoan verso Bruxelles con un incarico meno impervio dell’attuale. Chi poi possa succedergli a Roma, è tutto da vedere. A volere il sessantaquattrenne Padoan al ministero dell’Economia fu Massimo D’Alema, suo protettore da lustri. Pier Carlo, infatti, orbita attorno all’ex Pci da quando ha i calzoni corti. Dopo la laurea in Economia alla Sapienza di Roma, sua città natale, fece la carriera universitaria sotto l’usbergo del partito fino a diventare ordinario. Incrociò D’Alema nel 1998, quando Max era a Palazzo Chigi e voleva somigliare all’inglese Tony Blair. Poiché Pier Carlo aveva fama di laburista in cerca di una via mediana tra marxismo e capitalismo, fu cooptato nello staff dei consiglieri economici. Formò con Nicola Rossi e Marcello Messori un terzetto che i compagni, con l’affettuosità delle serpi, ribattezzarono «Blairani alle vongole». Assunto in pianta stabile alla corte di Spezzaferro, Pier Carlo, finito il soggiorno a Palazzo Chigi, divenne, come già sappiamo, direttore del Fmi e poi, dal 2007 al 2014, vicesegretario generale dell’Ocse. Qui, avendo sbagliato tutte le previsioni, per eccesso o per difetto, si è fatto solida fama di non azzecarne una, da qualsiasi lato guardasse il bicchiere. Infine, è stato presidente di Italianieuropei, la Fondazione di Max. Se a volerlo ministro è stato D’Alema, a imporlo fu invece Giorgio Napolitano. In un certo modo, glielo doveva. Nel 2013, gli aveva fatto lo sgarbo di preferirgli all’Economia, Fabrizio Saccomanni, poi risultato fallimentare, scontentando Enrico Letta che voleva invece Padoan (suggerito dal fido Fabrizio Pagani, suo consigliere economico). Dunque, il solo che non ha messo bocca nella scelta è stato il premier designato Renzi, al quale di Padoan non importava un fico secco e che, pur di andare a Palazzo Chigi, aveva lasciato carta bianca al Quirinale. Nonostante la fortuità dell’incontro, Renzi e Padaon sono sempre andati piuttosto d’accordo sia pure tra le marette. Ciò, soprattutto per la duttilità dimostrata da Pier Carlo all’inizio. Renzi proclamava ai quattro venti che voleva meno austerità? E Padoan l’ha accontentato, anche a scapito degli equilibri contabili. Così sono arrivati gli 80 euro per i redditi medio-bassi. Raggranellati sia con lo sciagurato aumento della tassa sui risparmi (dal 22 al 26 per cento), sia attraverso il rinvio al 2016 del pareggio di bilancio previsto invece dall’Ue nel 2014. Una generosità resa possibile dal fatto che quest’anno la Commissione Ue era in scadenza (la nuova si insedia in novembre) e non aveva l’autorevolezza di alzare la voce con l’Italia. Solo per questa circostanza Padoan ha trovato il coraggio di discostarsi parzialmente dal rigore merkeliano. Ma tra breve, con la nuova Commissione, la pacchia finisce e Pier Carlo non se la sente più di stare al fianco di uno scervellato come Renzi, rischiando di gettare alle ortiche la sua fama superigorista. In effetti, la storia professionale di Padoan è quella di un derviscio dell’austerità. Tempo fa sentenziò: «Il risanamento è efficace. Il dolore è efficace (sic!). La cattiva fama dell’austerità è solo un problema di comunicazione, visto che stiamo ottenendo risultati». Sulla Grecia, quando era all’Ocse, disse che o usciva da sé dai suoi guai o poteva andare in rovina. Insomma, appartiene a quel folto gruppo di ex comunisti che, per riciclarsi, si sono convertiti all’europeismo stretto e capitalista, facendo andare in bestia i liberal americani rimasti fedeli a Keynes e alle teorie della sinistra soccorrevole. Uno tra i più noti di questi liberal, Paul Krugman, Nobel dell’Economia, ha preso di mira il nostro Padoan e gli rifila scappellotti a intervalli regolari. A volte, ne fa il nome, altre lo tace, ma sempre il Nostro prende di petto. «Padoan è tra i più grandi sostenitori dell’austerità, che con il loro tifo hanno spinto l’Europa al disastro». Oppure: «Certe volte gli economisti danno cattivi consigli; altre volte danno pessimi consigli; altre ancora lavorano all’Ocse (come Pier Carlo, ndr)». Un altro che non lo poteva vedere, ma per proprie ragioni caratteriali, era il suo predecessore all’Economia, Giulio Tremonti. Quando era a Washington al Fmi e Tremonti doveva venire lì in missione, Padoan preparava al ministro i discorsi che doveva pronunciare. Giulio li scorreva distratto per poi gettarli nel secchio con insuperabile faccia da schiaffi. Le molteplici nature di Pier Carlo -comunista, ma blairiano, rigorista ma complice di Renzi, marxista e merkeliano- appaiano già nella biografia: cognome veneto (pronuncia corretta: Padoàn), origine piemontese, nascita romana. Nella Capitale ha sempre vissuto, salvo intervalli. Da ragazzo andava d’estate nel castello di famiglia a Maranzana in quel di Asti, ospite della nonna paterna. Ci torna, quando può, per la ferragostana Festa delle torte. In tutto il resto, è romano. Per la squadra della Roma ha passione viscerale. Romaniste sono anche le due figlie. «Porta Totti nel cuore», ha fatto sapere la moglie, Maria Grazia. Costei è una santa donna. Pensate che, laziale per tradizione di famiglia, dopo le nozze è passata alla Fiorentina per non irritare la tirannica tifoseria del marito e salvaguardare il ménage. Prova che, anche per un valente economista, è più facile tenere in equilibrio la famiglia che i conti dello Stato.
Giancarlo Perna, Libero 23/8/2014