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 2014  agosto 23 Sabato calendario

GUERRA GRANDE E GIÀ «GLOBALE»

Agosto 2014 celebra il ricordo dell’efferato primo mese del conflitto. S’impiega il termine Prima Guerra Mondiale, mentre cent’anni fa si parlava piuttosto di Grande Guerra. Si sottolinea l’apparente paradosso di un conflitto che scoppiò allorché le interdipendenze economiche tra i belligeranti erano senza precedente, ma poca attenzione viene prestata alla dimensione globale del conflitto stesso.
Distanti migliaia di chilometri, ma abitati allora quasi esclusivamente da discendenti di europei e legati all’Impero britannico come Dominions, Australia e Canada entrarono in guerra il 4 agosto. La mobilitazione fu imponente: 417 mila australiani su una popolazione di 5 milioni, 600 mila canadesi su 8 milioni. Malgrado il costo in vite umane (67 mila canadesi e 61 mila australiani), le gesta della Canadian Expeditionary Force nelle trincee della Somme, a Vimy e a Passchendaele e ancor più quelle della Australian and New Zealand Army Corps (Anzac) a Gallipoli, in Turchia, contribuirono fortemente a forgiare l’identità delle giovani nazioni costruite sul coraggio, la solidarietà e la resistenza. Non è forse un caso se una canadese che insegna a Oxford e un australiano professore a Cambridge siano gli autori dei due più importanti libri recenti sulla Guerra (rispettivamente 1914. Come la luce si spense sul mondo di ieri, Rizzoli 2013 e I sonnambuli, Laterza 2013).
Anche altrove nell’Impero britannico, lo sforzo bellico ebbe conseguenze significative. Un milione d’indiani combatterono e 74 mila perirono, soprattutto contro l’Impero Ottomano in Mesopotamia e Nord Africa. Nell’urgenza della mobilitazione, i britannici furono liberali nel concedere favori ai potenti locali che aiutavano nel reclutamento delle truppe e arrivarono a promettere vere riforme per placare l’opposizione dei nazionalisti. Una volta finita la Guerra e le autorità britanniche decisero invece di aumentare la repressione, grande fu la delusione di Gandhi, che aveva attivamente sostenuto Londra. Più complicata la situazione in Sudafrica, meno di dieci anni dopo gli orrori della guerra boera. Ma anche Jan Smuts, sebbene afrikaner, vide nell’impegno a fianco del resto dell’Impero una maniera per rafforzare il senso d’identità e le truppe sudafricane combatterono contro i tedeschi in Africa australe e orientale.
In Asia, altre nazioni giocarono un ruolo attivo. Fu il caso del Giappone, che s’impossessò rapidamente dei possedimenti tedeschi nel Pacifico (isole Marianne, Caroline e Marshall) e in Cina, in particolare la città portuale di Qingdao. La marina imperiale si avventura anche nel Mediterraneo, a caccia di U-Boat. Erano evidenti le mire espansionistiche di Tokyo, che preoccupavano Washington molto di più che Londra, anche se americani e giapponesi fanno fronte comune in Siberia nel 1918, appoggiando la resistenza alle truppe bolsceviche.
Anche la Cina, giovane repubblica nata appena nel 1911, fu coinvolta nelle Fiandre, soprattutto a Ypres/Ieper. Non come combattenti, ma come manovalanza neutrale impiegata per scavare le trincee, trasportare le munizioni, lavorare nei cantieri. Furono 140 mila volontari provenienti da Shandong e Hebei, attratti da promesse di salari astronomici e spesso non pagati, ne morirono più di 2 mila sui campi di battaglia e centinaia a causa delle epidemie e carestie che seguirono la Guerra, e anche quelli che avrebbero voluto restare in Belgio furono rimpatriati a forza nel 1920.
Le nazioni latinoamericane si mantennero a lungo neutrali, indecise tra appoggiare gli Alleati, cui erano legati da interessi economici, e non indebolire la Germania, dove si era formata gran parte dell’élite militare. Solo dopo ripetuti attacchi a navi commerciali brasiliane, Rio de Janeiro dichiarò guerra a Berlino e Vienna il 26 ottobre 1917 (sei mesi dopo l’entrata in guerra degli americani), e un piano ambizioso (Plano Calógeras) fu sviluppato per dare un contributo allo sforzo alleato. Ma il venir meno delle ostilità ne rese impossibile l’esecuzione e la partecipazione si limitò in pratica all’invio di medici sul fronte francese.
Al momento di negoziare il futuro Trattato di Versailles del 1919, il tavolo era diventato veramente globale. Mezzo secolo dopo aver dovuto sottostare ai trattati ineguali, il Giappone ebbe 5 delegati, in quanto uno dei cinque vincitori della Guerra. Anche se non fu sufficiente per vedere incluso il principio della non-discriminazione razziale nello statuto della nascente Società delle Nazioni.
Meno positivi i risultati per Pechino, belligerante dal 1917. Le furono riconosciuti derisorie riparazioni di guerra e vide ufficialmente sanzionato il controllo nipponico nello Shandong, luogo di nascita di Confucio. Quasi umiliante al confronto l’unico risultato tangibile - imporre ai tedeschi di restituire una serie di strumenti astronomici dell’epoca Qing che erano stati asportati dopo la repressione della rivolta dei Boxer nel 1900 ed esposti in un parco a Potsdam. Se Pechino aveva inviato migliaia di lavoratori nelle Fiandre per assicurarsi un posto al sole, i risultati furono quantomeno modesti (per molto meno, il Brasile era stato compensato con 70 navi sequestrate agli Imperi Centrali, mentre la neutrale Argentina si ritrovò creditrice netta per la prima volta nella sua storia) e infatti si rifiutò di firmare. Dalle frustrazioni di Versailles scaturirono le proteste del 4 maggio 1919 e a Guangzhou e Shanghai molti ex-volontari di guerra ricoprirono ruoli importanti nel nascente movimento operaio.
Sul piano economico, in tutti i mercati emergenti la Grande Guerra lasciò in eredità industrie nazionali generalmente più forti. Ma appena l’Europa, per non parlare degli Stati Uniti, furono in grado di ristabilirsi pienamente, la capacità delle imprese locali di competere, anche nel caso di Giappone o Brasile, si ridusse immediatamente. La riconversione resa possibile dalla sostituzione delle importazioni lasciò il posto all’inflazione, alla recrudescenza della contestazione operaria, a nuove rivendicazioni nelle campagne. In America Latina l’influenza politica europea uscì indebolita. Due decenni di profondi cambiamenti si annunciano e la Seconda Guerra Mondiale sarà veramente globale fin dall’inizio.
Andrea Goldstein, Il Sole 24 Ore 23/8/2014