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 2014  agosto 23 Sabato calendario

CURDI, L’EPOPEA DEI SENZA PATRIA

Le prime notizie certe sono quelle che ci fornisce Senofonte nella sua Anabasi (400 a.C.) quando parla delle bellicose popolazioni di montagna chiamate Carduchi. Sono gli antenati dei curdi di oggi, una popolazione di lingua e cultura indoeuropea affine a quelle dell’antico Iran. Sudditi per secoli dell’impero ottomano (e fedelissimi al sultano di Costantinopoli) i curdi, alla fine della prima guerra mondiale con il trattato di Sèvres (1920) sperarono di ottenere un proprio stato indipendente ritagliato dai territori anatolici e mesopotamici con un’appendice in Iran. Ma il loro sogno fu stroncato, non solo dalla realpolitik inglese e francese, ma dal padre della moderna Turchia. Kemal Ataturk. Da allora i curdi vivono divisi tra Turchia, Siria, Iraq, Iran con minoranze in Armenia e Azerbaigian. In tutto sono oltre 40 milioni di persone senza una nazione. Non che i curdi non ci abbiano provato a ritagliarsi uno stato: numerose rivolte e guerriglie dal 1930 agli anni 2000 testimoniano della indomita volontà dei vari popoli curdi di unirsi. Vari popoli perché in realtà le tribù curde parlano almeno tre dialetti principali (il kurmanji, il sorani e lo zaza) più numerosi altri sottodialetti. Nemmeno a livello religioso sono uniti, se la maggioranza è sunnita esistono anche curdi sciiti e altri che appartengono alla religione Yazida, un misto di religioni iraniche, gnostiche e islamismo.
RIVOLTE
Però tutti i curdi da sempre hanno un’idea di unità che sorpassa le differenze linguistiche e religiose. Un’idea che li ha portati a rivolte sanguinose a partire dagli anni trenta del secolo scorso sia in Turchia, sia in Iran, sia nei paesi arabi. Rivolte sempre represse nel sangue. Ma è dalla fine della seconda guerra mondiale che le cose cambiano. Sotto la guida di un leader carismatico, l’imam Mustafa Barzani prima in Iran poi anche in Iraq i curdi prendono le armi. E poi, negli anni 80, prenderanno le armi anche i curdi di Turchia, che sono almeno 16 milioni e ai quali la repubblica negava addirittura la facoltà di chiamarsi curdi, definendoli "turchi di montagna". Furono guerriglie parallele, morto Barzani i curdi iracheni si divisero in due partiti, l’Unione democratica del Kurdistan (guidata da Jalal Talabani) e il partito democratico curdo (retto dal figlio di Barzani). In Turchia nacque il Partito dei lavoratori kurdi (Pkk), sotto la guida di un ex studente di scienze politiche, Abdullah Ocalan. In Iran, prima in parte tollerato dallo scià, poi ferocemente combattuto dagli ayatollah ecco Pjak (Kurdistan libero) erede del Kdh (partito democratico che fu di Barzani). Situazione ancora peggiore in Siria dove i curdi non solo non erano riconosciuti ma dove gli stessi documenti di identità erano loro negati, riducendoli a non persone. La guerriglia curda subì la feroce repressione dei turchi e, soprattutto, di Saddan Hussein che non esitò a usare i gas asfissianti come nel caso di Halabja, la cittadina curdo-irachena dove il gas nervino fece 5000 vittime. Malgrado questo i curdi non hanno mai ceduto.
Catturato Ocalan dai turchi, cacciati da Kirkuk e da Mosul da Saddam i combattenti curdi, i cosiddetti peshmerga (coloro che guardano la morte in faccia) hanno resistito. Fino a che le cose non sono cambiate. Con l’abbattimento di Saddam in Iraq i curdi hanno iniziato a godere di un’ampia autonomia, con il governo Erdogan in Turchia si sono aperte trattative di pace. In Siria, con la guerra contro Assad i curdi (circa un milione) si sono ritagliati un loro territorio che difendono sia contro le milizie islamiste che contro l’esercito governativo. In Iran, malgrado la durissima repressione, sui monti che confinano con Iraq e Turchia la fiamma della guerriglia continua a resistere.
Certo, ora la situazione è complicata ma, paradossalmente, non pessima per i curdi supportati dall’aviazione americana e, se pure non ufficialmente, dall’Iran. Nei combattimenti i curdi hanno preso Kirkuk la città da cui furono cacciati e che considerano la loro capitale. È probabile che in futuro, allontanato il pericolo jihadista, il Kurdistan iracheno abbia sempre maggior autonomia, se non l’indipendenza. Il che costituirà comunque un problema per i vicini turchi, siriani, iraniani. Per tacere del governo di Bagdad che vedrà una consistente fetta delle royalties petrolifere finire ai curdi. Ma per ora tutti vogliono aiutare i curdi, tutti li vogliono dalla loro parte. Perché i combattenti peshmerga, sebbene armati molto meno dei loro rivali, costituiscono non solo la sola vera forza in grado di opporsi ai fondamentalisti, ma anche la sola leadership moderata in un mare di estremismi, fondamentalismi e giochi politici eterodiretti.
Marco Guidi