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 2014  agosto 23 Sabato calendario

IL FRONTE ANTI-JIHADISTI RESTA DIVISO, PRIME DEFEZIONI TRA I CURDI

Mentre i governi occidentali, europei in testa, si stanno organizzando per consegnare materiale bellico alle formazioni militari curde (ultime Albania e Croazia che, su richiesta degli Stati Uniti, forniranno senza compenso una quantità «trascurabile» di armi), in Iraq la situazione sul terreno rimane ancora molto fluida, complice la non omogeneità di intenti, le divisioni e le diffidenze che permangono all’interno del fronte anti Isis. Gli scontri settari tra sunniti e sciiti ne sono una prova tangibile. L’ultimo grave attentato nel Paese è avvenuto infatti per mano sciita. Un gruppo di miliziani ha attaccato ieri fedeli riuniti per la preghiera del venerdì alla moschea Musab bin Omair nel villaggio Imam Wais, nella provincia di Diyala, nord-est dell’Iraq. Secondo le prime ricostruzioni un attentatore suicida si sarebbe fatto saltare all’interno dell’edificio, seguito poi da uomini armati che hanno aperto il fuoco sui fedeli. Grave il bilancio: almeno 73 i morti e decine i feriti. Gli attentatori hanno anche piazzato esplosivi per coprirsi la fuga dalle forze di sicurezza. Un bagno di sangue che rende sempre più difficile il lavoro del Primo Ministro Haider al-Abadi, incaricato proprio dal neo presidente Fuad Masum di trovare un accordo comune tra sunniti, sciiti e curdi al fine di fermare l’Isis ed evitare la divisione del Paese in tre parti.
AVANZATA VERSO MOSUL

Il supporto aereo americano ha permesso alle forze curde di avanzare, anche se con fatica, verso Mosul. Il primo obbiettivo raggiunto è stato quello della riconquista della diga, la più grande del Paese. Avanzamenti si registrano anche nella piana di Ninive, con la riconquista di alcuni villaggi cristiani. I peshmerga hanno anche ripreso alcuni centri abitati situati a circa 35 chilometri ad est di Mosul, puntando nelle prossima ore a riconquistare Jalawla e Saadia, due località a maggioranza curda nella provincia di Diyala. Ma le frizioni non sono solo quelle tra sunniti e sciiti. Molti yazidi si sono sentiti traditi dai peshmerga quando lo scorso 3 agosto le truppe del Kurdistan si sono ritirate da Sinjar lasciandola in mano agli uomini del califfo. L’intervento delle milizie curde del Partito Pyd siriano (legato al Pkk curdo) ha permesso a migliaia di yazidi di fuggire dal monte Sinjar, luogo dove si erano riparati senza acqua e cibo e impossibilitati a fuggire. Le accuse degli yazidi sono state anche rivolte al governo del Kurdistan reo, secondo loro, di non aver provveduto ad aiutare i profughi in difficoltà. Diffidenze che hanno portato gli yazidi a riarmarsi. Proprio di questi giorni la notizia del primo combattimento della brigata yazida Malik al-Tawus, fondata nel 2007 come milizia di autodifesa e impiegata in un attacco contro elementi dell’Isis nella città di Sinjar. Ventidue i paramilitari jihadisti uccisi e cinque i veicoli blindati distrutti. Lo ha riferito Khudida al-Haskani, portavoce della milizia yazida. Ma al di là delle vittorie militari sul terreno, anche in Kurdistan si stanno verificando una serie di frizioni che hanno messo in allarme i servizi locali di intelligence. L’Isis continua comunque ad aumentare di prestigio e potere. Secondo il quotidiano panarabo al-Hayat sono centinaia i giovani combattenti curdi iracheni che si sono uniti ai miliziani dello Stato Islamico. La conferma anche il direttore delle operazioni antiterrorismo di Sulaymaniyya, Lahor Shaykh Jenki, il quale ha riferito che sono almeno 400 i giovani curdi arruolatisi con i jihadisti. Sempre secondo fonti di intelligence locali, uno dei cinque leader dell’Isis a Mosul sarebbe un curdo.
I NUOVI ADEPTI

Un califfato con una macchina mediatica e logistica ben oliata, capace di attrarre nuovi adepti. Solo nel solo mese di luglio ben seimila nuovi volontari avrebbero raggiunto infatti la formazione militare del califfo Abu Bakr al-Baghadi. D’altronde che lo Stato islamico punti a convertire e ad arruolare uomini è evidenziato anche da un video diffuso dall’Isis nei giorni scorsi e che ritrae un gruppo di yazidi che recita la Shahada (la testimonianza di fede con la quale ci si converte all’Islam). L’invito, da parte di un miliziano, è quello di far scendere anche gli altri «dalle montagne e convertirsi» e di «“non credere alle bugie degli occidentali». Una conversione che però, al di là della propaganda, è quasi sicuramente stata adottata come tecnica “di dissimulazione” della propria fede (la più famosa è la “taqyya” sciita) pratica utilizzata anche da comunità etnoreligiose come quella dei drusi e, appunto, dagli yazidi.