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 2014  agosto 23 Sabato calendario

Se una votazione raccoglie un consenso eccessivo da noi siamo abituati a dire che quel voto è stato bulgaro; se i francesi vogliono raccontare una barzelletta spesso e volentieri prendono di mira i vicini belgi

Se una votazione raccoglie un consenso eccessivo da noi siamo abituati a dire che quel voto è stato bulgaro; se i francesi vogliono raccontare una barzelletta spesso e volentieri prendono di mira i vicini belgi. Da un po’ di tempo in qua se in Svizzera si vogliono evocare catastrofi, la pietra di paragone è l’Italia. L’accostamento pare funzionare in modo particolare nel mondo del marketing politico: tre anni fa una campagna contro la crescita dei lavoratori italiani in Canton Ticino aveva paragonato i nostri connazionali a ratti famelici; stavolta gli oppositori a un referendum che vorrebbe dare più peso nella Confederazione alla sanità pubblica hanno bollato la proposta con un eloquente slogan: «No a una sanità all’italiana». Ma se in passato l’accostamento tra il Belpaese e il caos era stato cavalcato da partiti estremisti, di stampo nazionalista, in questo caso la campagna vede schierate seriose associazioni private, a cominciare da quelle delle cliniche private per arrivare a Economiesuisse, una sorta di super Confindustria che raduna tutte le organizzazioni imprenditoriali elvetiche. E se fossero i manifesti sui muri o le inserzioni sui giornali, sarebbe anche il meno: sui social network la campagna ha dato libero sfogo alla fantasia, ed ecco comparire spezzoni di Alberto Sordi nei panni di quel maneggione del dottor Tersilli medico della mutua o l’elenco delle inchieste giudiziarie che hanno investito ospedali o ambulatori italiani. Detto in termini più generali: il prossimo 28 settembre l’elettorato svizzero sarà chiamato alle urne per uno dei consueti referendum, che sono uno dei tratti caratteristici della democrazia del Paese alpino. I promotori chiedono che la salute e la cura dei cittadini venga garantita da un unico istituto pubblico, anziché dalle sessantuno assicurazioni private a cui oggi si rivolgono gli abitanti della Confederazione; una decisa e rivoluzionaria virata, insomma, verso un sistema che garantirebbe secondo i promotori (tra i quali c’è anche il partito socialista) una maggiore equità di trattamento tra classi agiate e disagiate. Probabilità di riuscita del referendum? Scarse, secondo gli osservatori, visto che in tanti hanno raccomandato di votare «no» alla riforma, a cominciare proprio dalle autorità federali di Berna: «La concorrenza incentiva modelli e prestazioni innovative» è la posizione ufficiale comunicata attraverso il sito del governo. A cui si aggiunge un’ulteriore osservazione: «Con un’unica cassa malati verrebbe meno la possibilità di libera scelta per il paziente». L’asso di denari viene però calato sul tavolo dal comitato del «no» alla riforma che ha radunato attorno a sé il settore delle cliniche private e una serie di altre sigle influenti che per la Svizzera significano al tempo stesso business e prestigio. Dal comitato è scaturito lo slogan del «No a una sanità all’italiana». Domanda consequenziale: ma con tutte le buone ragioni che il sistema degli ospedali privati elvetici poteva vantare, c’era bisogno di aprire un’altra guerra di parole con l’Italia? E come farlo, poi, tenendo conto del fatto che molto del personale al lavoro nelle rinomate cliniche di Lugano e dintorni proviene in larga misura dalla Lombardia e dal Piemonte? Angelo Geminazzi, di Economiesuisse, se la cava con diplomazia: «Nel merito del referendum siamo per il mantenimento dello status quo; riguardo allo slogan contestato non siamo stati interpellati e in ogni caso siamo per continuare a mantenere i migliori rapporti possibili con gli Stati». Stefano Modenini dirige l’associazione degli industriali del Canton Ticino, che al momento non è scesa in campo nella campagna referendaria. Nonostante ciò la sua testimonianza la dice lunga sul meccanismo che ha generato lo slogan: «Sono contro a ogni forma di generalizzazione e personalmente quei cartelloni mi hanno infastidito. Mi risulta tra l’altro che verranno diffusi solo nella Svizzera italiana e mi pare siano il frutto di un meccanismo che va prendendo piede: se si vuole raccogliere un facile consenso da queste parti a quanto pare basta parlare male dei vicini italiani». Claudio Del Frate