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 2014  agosto 23 Sabato calendario

BELLOCCHIO: «TORNO AL LIDO CON IL MIO FILM SCANDALO. MA NON SARO’ MAI PIU’ IN GARA»

Il titolo fu azzeccatissimo. Profetico nei fatti, anche se in senso opposto a quel che si pensava, La Cina è vicina da manifesto politico è diventato uno slogan buono per mille occasioni. «E non posso neanche chiedere i diritti di copyright — scherza Marco Bellocchio —. Quel titolo non è mio, lo presi a prestito da un libro scritto da Enrico Emanuelli, critico letterario del Corriere ».
D’ogni buon conto perfetto per un film provocatorio. Speranza o minaccia, a seconda di chi lo ascoltasse.
«Né l’una né l’altra. Semmai uno sberleffo verso quella politica velleitaria e trasformista che cominciava a esser messa in pratica allora e tutt’ora continua».
Nel ’67 dette scandalo e vinse il Premio della Giuria a Venezia. Dove ora, il 3 settembre, verrà ripresentato nella versione restaurata dalla Sony con l’Immagine ritrovata della Cineteca di Bologna.
«Sarà strano rivederlo dopo 47 anni. Sono curioso dello sguardo di un giovane di oggi di fronte alla storia di Vittorio, ricco borghese di provincia (Glauco Mauri), che si presenta alle elezioni per il Partito Socialista Unificato, in quegli anni al governo con la Dc. Candidatura che provoca lo sdegno del fratello Camillo (Pierluigi Aprà), militante maoista. Due posizioni della sinistra di allora, la prima già pronta al compromesso, la seconda pittoresca e patetica».
In mezzo c’era il Pci.
«Ormai avviato verso un revisionismo irreversibile… All’epoca del film avevo 28 anni. Guardavo con sospetto i partiti ufficiali e con ironia quei gruppuscoli goliardico-maoisti. Per nulla antesignani del Movimento Studentesco del ’68, ma piuttosto ridicoli con la loro fede in una Cina immaginaria».
La scena in cui Camillo al comizio del fratello gli scatena contro una muta di cani e gatti, la dice lunga su quell’estremismo infantile.
«Salvo che due anni dopo mi ritrovai anch’io nelle file dei marxisti-leninisti dove c’era Aldo Brandirali finito successivamente in Comunione e Liberazione e poi con Berlusconi».
«La Cina è vicina» non fece sconti a nessuno.
«Si arrabbiarono tutti. Nenni, uscendo dal film mormorò sconsolato: “Ma davvero i giovani ci vedono così?”. E Miccichè, critico dell’Avanti! , minacciò furibondo: “Vedrai cosa scriverò domani!”. Quanto ai comunisti, erano campioni di diplomazia. Non dissero nulla ma lasciarono intendere… Ma il film si prese la rivincita al botteghino».
Rispetto al suo precedente «I pugni in tasca» conquistò il pubblico per le battute divertenti e certe scene erotiche
«La commissione di censura lo bocciò in prima istanza e quindi lo sdoganò pur con il divieto ai minori di 18 anni».
«I pugni in tasca» sono rimasti un caposaldo del cinema ma «La Cina è vicina» ha mostrato in anticipo un malcostume politico oggi dominante.
«Il trasformismo fa parte della nostra storia. Il film diceva con virulenza cose più che mai attuali, il falso riformismo della sinistra, il gattopardismo dei partiti. Quello che invece non c’è più è la fede in un’utopia. E se c’è non è più politica. Del resto sarebbe difficile dopo tante delusioni… Non ho mai aderito a nessun partito, né socialista, né comunista. Ero vicino a una certa sinistra radicale. Ma in modo libero e critico. Oggi poi è sempre più difficile confrontarsi. Oggi tutto cade nel vuoto del web, generando solitudine, confusione».
In questi giorni è impegnato con il suo Bobbio Film Festival, dove domani sarà proiettato «Il Gattopardo» alla presenza di Claudia Cardinale. E a Bobbio ha girato il suo nuovo film, il cui titolo è cambiato tre volte: «La monaca di Bobbio», «La prigione di Bobbio», «L’ultimo vampiro».
«Il terzo è quello valido, ma forse non definitivo. Si vedrà. Le riprese sono state in parte nel monastero di San Francesco dove giocavo da bambino, in parte nelle carceri della contrada San Nicola. Sulla storia non voglio dire niente. Non ancora…».
A quale festival lo vedremo?
«Se sarà invitato, ci andrà il film».
È ancora arrabbiato per l’esclusione dal verdetto di Venezia di «Bella Addormentata»? Allora annunciò che aveva chiuso con i festival?
«È acqua passata. Conto di andare al Lido con la mia “Cina”. Ma non più con un film in gara. A quella promessa di sfuggire alla bagarre dei festival intendo tener fede. Se vorrà ci andrà chi ha partecipato al film. Io no».
Giuseppina Manin